La morte in un messaggio: “Non ce la faccio più… Fratello, dove sei?”


Si è reso conto che quelli sarebbero stati i suoi ultimi istanti di vita. Così ha afferrato il cellulare e ha inviato un disperato messaggio vocale all’uomo che gli aveva promesso di portarlo in Italia: “Io sto morendo qua, non ce la faccio… Fratello Irfan, dove sei?”. Identica richiesta d’aiuto inoltrata anche al telefono del papà. Come a voler far sapere a suoi familiari quello che gli stava accadendo. E’ morto così, asfissiato all’interno di un camion adibito al trasporto di cavalli, Maalik Hussain, 25enne pakistano che sognava di raggiungere il nostro Paese. Finalmente ha un nome e un cognome il cadavere in avanzato stato di decomposizione ritrovato dai carabinieri di Cattolica lo scorso 7 settembre all’interno di un fosso in località Montalbano, a San Giovanni in Marignano, a pochi passi dal centro ippico Riviera Horses. Ma un’identità precisa ce l’ha anche l’uomo che ha organizzato la sua morte, facendolo viaggiare per tre, forse quattro giorni, in un ripostiglio minuscolo. Si chiama Ali Irfan, anche lui pakistano, 33 anni, di professione stalliare, arrestato giovedì scorso per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, occultamento e soppressione di cadavere (vedi notizia).
Quel giorno di inizio agosto alcuni passanti avvertirono un odore nauseabondo provenire da un canale di raccolta delle acque piovane a bordo strada. Ricoperto dall’erba alta, c’era il cadavere putrefatto di Maalik, che in Grecia lavorava come pastore. Quel corpo, ridotto così male persino da rendere complicata l’identificazione del sesso, aveva solo una catenina annerita al collo. Niente cellulare, né documenti. Una prima svolta nelle indagini, coordinate dal sostituto procuratore Paolo Gengarelli e affidate al Nucleo operativo dei carabinieri di Riccione, arrivò tre giorni dopo il ritrovamento, quando in caserma si presentarono il papà di Maalik e il cugino. L’eco mediatico della notizia era arrivato in Grecia, dove viveva il 25enne con la sua famiglia. Il padre di Maalik aveva ricevuto l’ultimo, agghiacciante messaggio del figlio. Poi aveva letto di un cadavere ritrovato in Italia, a San Giovanni. Aveva collegato le due cose e si era precipitato lì.
In effetti il suo presentimento era giusto: quel corpo era proprio di suo figlio. La conferma ufficiale circa un mese dopo il ritrovamento grazie all’esame del Dna. Dalle indagini dei carabinieri è emerso come al Riviera Horses, nel mese di agosto, si erano tenute alcune gare ippiche che avevano visto la presenza di atleti greci con al seguito alcuni stallieri pakistani. Quello fu un primo indizio. La conferma che Maalik potesse essere arrivato a San Giovanni all’interno di un camion che trasportava cavalli per competizioni sportive, la si ebbe grazie all’analisi tecnica sul numero di cellulare di Maalik. I militari, infatti, hanno ricostruito l’esatto percorso compiuto dal camion e, al tempo stesso, sono riusciti a rintracciare altri clandestini giunti a in Italia con le stesse modalità. Da Koropi, piccola città greca vicino ad Atene, il camion arrivava al porto di Patrasso o Corfù, qui veniva imbarcato su una nave con destinazione Brinidisi, per poi proseguire fino a San Giovanni in Marignano. Un viaggio massacrante, di tre-quattro giorni, che i clandestini arrivavano a pagare fino a 5mila euro. Alla guida del camion c’era un greco (che deve essere ancora rintracciato) e, insieme a lui, Ali Irfan, stalliere pakistano che, a detta degli investigatori, era l’organizzatore ed esecutore delle traversate. I primi contatti avvenivano su Facebook, si pattuiva il prezzo e si stabiliva una data di partenza. Proprio Irfan è stato riconosciuto da più testimoni.
Secondo gli inquirenti, sarebbe stato lui, con la complicità dell’autista del camion, a disfarsi del cadavere di Maalik e a gettarlo in quel fosso vicino al Riviera Horses. Arrestato alle prime ore di giovedì 31 ottobre, grazie alla collaborazione del personale Interpol e della polizia ellenica, Irfan verrà estradato in Italia nelle prossime settimane. Le indagini sono tutt’altro che chiuse. I carabinieri di Riccione, infatti, stanno cercando di capire se si tratti dell’azione di un singolo o se dietro al traffico di esseri umani si nasconda una vera e propria organizzazione criminale. Al momento, i casi accertati di immigrazione clandestina, partendo dalla Grecia con destinazione San Giovanni, sono quattro. Ma potrebbero essercene molti altri.