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Tumori e sanità pubblica, la testimonianza dell’assessore Vitali

di Redazione   
Tempo di lettura 5 min
Mer 12 Nov 2008 13:37 ~ ultimo agg. 12 Mag 18:02
Tempo di lettura 5 min

Una testimonianza in cui Vitali racconta le relazioni umane consolidate proprio dalla malattia e sottolinea il ruolo, spesso sottovalutato, della Sanità Pubblica.

L’intervento di Vitali:

Gentile Direttore,

sabato 8 e domenica 9 novembre sono state le giornate dedicate alla ricerca e lotta contro il cancro. Da poco più di un anno questo appuntamento ha cominciato a rivestire per me un significato del tutto particolare. Penso che rendere pubblica la mia piccola vicenda possa essere utile per tutti coloro che si devono confrontare con questa malattia, traendone dolore e sofferenza ma anche forza e insegnamento.

Una vita di corsa, da segretario per 9 anni di Don Oreste alla Papa Giovanni XXIII, alla “costruzione” della casa famiglia con mia moglie e 7 splendidi “figli”, all’impegno pubblico come Assessore della mia amata città, Rimini. Tanti impegni e ruoli di responsabilità che, all’età della piena maturità, vivevo con orgoglio e un poco di compiacimento, convinto che il tempo avrebbe solo rinforzato tutto questo.

Dopo un lungo ‘corteggiamento’, travestito prima da stress e poi da malattie dai nomi mai sentiti prima, ecco arrivarmi quindici mesi fa senza tanti perché la diagnosi terribile; “Signor Vitali, Lei ha un cancro”. Se scrivo queste righe è perché, con la forza di volontà, l’aiuto dei cari e la partecipazione di tanti amici (e anche di chi, prima di questo evento, non sapevo mi fosse in realtà così vicino), sono riuscito ad andare oltre e superare questo male che, nero su bianco, poco più di un anno fa lasciava pochi margini di speranza. L’unico modo per non ripiegarsi su di sé in attesa, è stato quello di valorizzare e riscoprire il gusto delle relazioni, degli incontri, dei legami creati, dell’ascolto pienamente laico su temi complessi, delicati, che magari sin ì hai giudicato in una sola maniera. Ho avuto modo di capire quanto poco siamo abituati ad ascoltare il prossimo, a cercare la sintonia con gli altri. Direi anzi che la nostra società è caratterizzata da una “ignoranza relazionale” strutturale, che porta non solo un isolamento dell’individuo, ma anche a un vero e proprio impoverimento. Nella vita di tutti i giorni, i legami fra persone sono governati perlopiù da una relazione di tipo superficiale, dettata dai ruoli, dall’aspetto, dalla routine, da quei piccoli pregiudizi che ci permettono di prendere delle scorciatoie nei confronti degli altri. La malattia, con la sua forza prorompente, scardina il recinto dell’abitudine, e ti pone di fronte ad un mondo di relazioni che prima, seppur sotto i tuoi occhi, non riuscivi a cogliere e, di conseguenza, sviluppare e valorizzare. Relazionarsi non è per nulla un’azione automatica, da dare per scontata. È in realtà il frutto di una scelta consapevole e di un impegno personale al confronto. È faticosa perché spinge a dire sì, quando in cuor tuo avresti voglia di riposarti e dire dei no, ma è un ponte insostituibile per una vita realizzata e veramente piena di significato. Ecco allora che la malattia è stata anche questo, paradossalmente, una “buona occasione”. Ho imparato grazie ad essa a rivalutare il concetto stesso di tempo, viverlo al meglio con me stesso, con la mia famiglia, con il mio lavoro. E allora i momenti insieme ai figli e a mia moglie diventano più “densi”, ogni incontro si tramuta in ascolto, e anche nel sociale, nella mia vita pubblica sento che la malattia mi ha portato ad un cambiamento importante. Mi soffermo più volentieri sul lato positivo di chi ho davanti, tralasciando il più possibile quello negativo, affrontando la realtà in un’ottica propositiva. Tutto questo però, ci tengo a sottolinearlo, è stato possibile anche grazie all’insostituibile ruolo che in una democrazia civile e moderna riveste la “Sanità pubblica”. Competenza, assistenza, cura, prossimità, empatia, affetto, strumentazione e medicinali, nulla mi è mancato in questi mesi di dolore e di riabilitazione. Questo non è scontato e, in una società che manifesta pericolose tendenze alla privatizzazione, dalla scuola ai servizi socio-sanitari, rappresenta un tesoro di cui andare fieri e sul quale ogni cittadino, aldilà del reddito, del colore della pelle e del paese di provenienza, deve poter continuare a fare affidamento. L’Ospedale “Infermi” in questo rappresenta un punto di riferimento, e come cittadino Riminese sento l’orgoglio di potermi curare in “casa mia”, senza affidarmi a quei “Viaggi della speranza”, di recente memoria, verso strutture sanitarie di altre città.

All’inizio, dopo quella diagnosi e l’operazione, faticavo a programmare la mia vita al di là del giorno successivo. Adesso, a distanza di 15 mesi, sono tornato a ragionare per i prossimi mesi, i prossimi anni, del futuro della mia famiglia, dei miei amici. Anche del mio futuro, sia umano che professionale.

Sentire il bisogno di costruire ponti, relazioni che permettano di fare, creare insieme un contesto, un’opportunità di crescita e sviluppo. Nel personale come nel sociale. Questo è, insieme, il grande insegnamento che mi ha dato la malattia, e l’auspicio che lancio a chi si trova ora sulla stessa strada; solo lasciando da parte la paura e l’egoismo possiamo allora vedere, oltre il dolore, la speranza di una crescita che, nonostante tutto, anche la peggiore delle malattie ci può portare.

Stefano Vitali

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