Povertà assoluta: nel limbo dell’inerzia. Una riflessione


Con sarcasmo, parto da una notizia eclatante, la “povertà non è stata abolita”, a differenza di quanto sostenuto in passato, dopo l’approvazione di alcune norme attinenti. La povertà assoluta, si certifica quando una famiglia non riesce a fare fronte alle spese essenziali, finalizzate ad un livello di vita accettabile. La soglia viene stabilita dall’Istat, attraverso un paniere che comprende beni e servizi che vengono considerati indispensabili, in funzione del luogo di residenza, della numerosità della famiglia e persino dall’età dei componenti. Negli ultimi quindici anni, nel nostro Paese il rapporto percentuale delle persone in povertà assoluta rispetto ai residenti, è aumentato in modo esponenziale, come le diseguaglianze, ormai insopportabili. Ecco alcuni dati significativi : nel 2007, la povertà assoluta corrispondeva al 3,1% dei residenti, nel 2021 oltre il 9%. Successivamente, sono state modificate alcune metodologie (e panieri) di calcolo, tuttavia, recenti stime dell’ottobre 2024, riferite all’anno 2023, indicano una percentuale del 9,7% dei residenti in povertà assoluta. Sostanzialmente, dal 2007 al 2023, arrotondando e salvo errori, siamo passati da circa 2.000.000 a circa 5.700.000 di poveri assoluti. Appare folle! Se restringiamo il campo ai minori, la situazione è ancora più grave. Ulteriore tristissima riflessione : in tanti casi, questi poveri assoluti lavorano! Oggi, finalmente, si rivendicano sacrosanti aumenti salariali, ma con le aziende che devono rimanere competitive perché aperte ad un mercato globale, con l’energia che ha costi assurdi rispetto a tanti Paesi concorrenti, con la tassazione sul lavoro che colpisce duro, come si pensa di intervenire nel concreto? Tante aziende, difficilmente riuscirebbero a farsi carico dei necessari aumenti salariali, il rischio, potrebbe essere la perdita della competitività e quindi, la stessa sopravvivenza. Se invece si pensa ad una possibile detassazione, talmente consistente da consentire congrui aumenti salariali, il rischio è quello di indebitare ulteriormente uno Stato estremamente prostrato, tanto da rendere difficili, persino i necessari finanziamenti alla sanità pubblica. Rimane a mio avviso un solo sistema: detassare il lavoro, trovando il corrispettivo nel taglio delle spese dello Stato. Alcuni banali esempi da analizzare e valutare. Le caste dalle carriere automatiche, con stipendi e pensioni conseguenti. Gli Enti non necessari. L’unificazione dei corpi. La numerosità di coloro che vivono di politica. La miriade di finanziamenti che lo Stato eroga, in tanti casi discutibilmente necessari alla collettività. Le infinite detrazioni fiscali, spesso confutabili. Di certo, questa mia analisi rimarrà solo una patetica utopia, perché difficilmente qualcuno avrà il coraggio di fare ciò che si dovrebbe, rischiando scontri con sodalizi radicati e potentissimi, che metterebbero in gioco il mantenimento dei consensi necessari alla sopravvivenza. Ed allora, “Panta Rei”, tutto scorre, povertà compresa, mentre l’astensionismo viene presumibilmente corroborato anche dal limbo dell’inerzia. Buon Natale e Sereno Anno nuovo a tutti i lettori, tornerò a gennaio.
CARLO ALBERTO PARI