Moglie trattata come una schiava, la denuncia videoregistrata grazie a un escamotage


Le era impedito di uscire di casa da sola, di scambiare persino qualche parola con i vicini. Doveva indossare solo abiti lunghi e quando si recava al supermercato, sempre accompagnata dal marito, doveva tenere lo sguardo rivolto verso il basso. Parlare in italiano, soprattutto con i figli, le era proibito. Sono solo alcune delle imposizioni a cui è stata costretta per anni una 37enne tunisina, vittima di quel marito padrone, di fede musulmana, che la considerava un oggetto.
L’uomo, che luglio del 2021 fu arrestato, ora si trova a processo per maltrattamenti in famiglia, consistiti, secondo il sostituto procuratore Luca Bertuzzi, anche in minacce di morte con tanto di coltello puntato in faccia e percosse, iniziate quando la donna era già al terzo mese di gravidanza. Da qui la richiesta di condanna a 8 anni di reclusione avanzata questa mattina dal pubblico ministero.
Alla 37enne era stato concesso di uscire solo per recarsi a casa di una vedova riminese per fare le pulizie, ma sempre sorvegliata dal marito, che l’accompagnava in auto e l’aspettava sotto casa della dell’anziana. Fu il legale dell’epoca della tunisina (l’avvocato Sergio De Sio) nell’estate del 2021 a inviare a casa della signora un poliziotto, che attese l’arrivo della nordafricana per videoregistrare con un telefonino la sua denuncia. Un escamotage che ha permesso alla vittima di scoperchiare anni di presunti maltrattamenti.
L’imputato (difeso dall’avvocatessa Federica Rossi) ha sempre respinto le accuse, ammettendo dissidi e litigi ma negando ogni tipo di violenza, peraltro mai provata da alcun referto medico. La sentenza del tribunale Collegiale di Rimini è attesa l’11 maggio.