Bande giovanili: la ricerca accende il dibattito in Regione


“Bande di strada giovanili” nel triennio 2019-2022 lungo la via Emilia. Il tema, in occasione della settimana della legalità, è stato affrontato in commissione Cultura, Scuola e Giovani dell’Emilia Romagna partendo da “Bande giovanili di strada in Emilia-Romagna tra marginalità, devianza e insicurezza urbana”, la ricerca curata per conto della Regione Emilia-Romagna da Rossella Selmini e Stefania Crocitti del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Bologna.
Ne emerge un chiaro identikit. Maschi, con alle spalle situazioni di fragilità famigliare ed economica. La maggior parte frequenta istituiti tecnici e professionali, solo una piccola minoranza i licei. Nelle loro famiglie manca una figura adulta genitoriale autorevole a cui ispirarsi. Ad aggravare il problema, poi, è l’effetto negativo dei social network: esasperano le situazioni di difficoltà e fanno da detonatore ai conflitti. Agiscono in gruppi misti maggiorenni-minorenni e i reati più diffusi sono contro il patrimonio e non contro la persona. Per molti di loro si tratta del “primo reato”. Gli stranieri? Sono la prevalenza, ma con percentuale molto al di sotto di quanto ci si aspetterebbe stando alle cronache. I luoghi delle violenze? Più nei capoluoghi di provincia che nelle piccole comunità, più nei centri storici che nelle periferie. Le vittime? Anche qui essenzialmente ragazzi giovani.
Le bande. “La maggior parte degli episodi analizzati sono avvenuti nei comuni capoluogo, con una prevalenza, all’interno dei singoli contesti territoriali, di fatti verificatisi in zone centrali delle città”, spiegano Selmini e Crocitti, che ricordano come “ipotizzando un minore utilizzo degli spazi urbani nei mesi invernali, la ricerca restituisce una presenza dei gruppi che, diversamente da quanto ipotizzato, non si concentra nel periodo estivo: il 32% degli episodi si sono verificati nei mesi da giugno ad agosto (mesi in cui si concentra la gran parte dei fatti avvenuti in provincia di Rimini) e il 68% è distribuito nei restanti mesi dell’anno. Gli episodi analizzati restituiscono l’immagine di gruppi la cui numerosità conta per lo più da 4 a 6 giovani (40%). Nella quasi totalità degli episodi si registra il coinvolgimento di un numero di giovani superiore a 7 (45%) e il numero dipende dal fatto che si tratta di scontri fra gruppi”.
Le ‘bande’ sono quasi esclusivamente maschili (77%) con una componente minoritaria della partecipazione femminile che connota i gruppi ‘misti’ (23%) e sono composte di ragazzi per lo più in età preadolescenziale: il 40% degli episodi riguarda giovani tra i 14 e i 17 anni, cui possiamo aggiungere il 25% di casi in cui il dettaglio sull’età non era specificato ma si identificavano i ragazzi come “minorenni”. I gruppi di soli maggiorenni costituiscono il 15% e il 20% presenta, in relazione all’età, una composizione “mista” con meno e con più di 18 anni.
In maggioranza, gli episodi narrano di gruppi “stranieri” (60%), anche se questa informazione incontra il limite che le ‘seconde’ o ‘terze’ generazioni di minorenni non hanno acquisito la cittadinanza italiana: “Gli stranieri -sottolinea Selmini- possono, dunque, essere sovra-rappresentati. Si precisa, inoltre, che in alcune notizie la nazionalità veniva identificata a partire dai racconti delle vittime e, quindi, in considerazione dei tratti somatici dei giovani autori dei fatti. Le bande con nazionalità “mista” costituiscono il 28% del campione e la presenza di gruppi composti interamente da italiani è pari al 12%”.
Le vittime. Le vittime sono anche loro principalmente maschi (87%) e coetanei di chi li aggredisce. Il 42% delle vittime, infatti, ha un’età compresa tra i 14 e i 17 anni, cui si possono aggiungere il 13% di minori di 13 anni e l’11% di “minorenni” così definiti dalla stampa senza ulteriori indicazioni d’età. I maggiorenni vittime delle azioni delle bande rappresentano il 29% del campione analizzato e nel 5% si tratta di vittime sia maggiori che minori dei 18 anni. Diversamente da quanto rilevato in merito alla nazionalità prevalentemente straniera dei componenti dei gruppi, le vittime sono soprattutto italiane (77%) e, in misura minore, straniere (23%). Gli articoli fanno riferimento a una conoscenza tra autori e vittime nel 5% circa dei casi.
I reati compiuti. Nel 49% dei casi i reati compiuti sono contro il patrimonio, nel 25% contro la persona e solo nel 14% si tratta di risse. Il residuale 10%, categorizzato come “altro”, comprende due casi di spaccio e detenzione di stupefacenti, un caso di porto abusivo di armi, un caso di violenza su animali e un caso di incendio. “La differenza di nazionalità tra autori e vittime (che, si ricordi, nella maggior parte dei casi sono coetanei) e i tipi di reati consentono di avanzare un’ipotesi esplicativa delle tipologie di reato. Nella metà degli episodi, infatti, gli illeciti sono commessi per impossessarsi di beni materiali e, in particolare, per acquisire dai loro coetanei italiani quei beni (non solo il denaro ma anche cellulari, indumenti e scarpe alla moda) che i ragazzi ‘stranieri’ non possiedono”, spiegano Rossella Selmini e Stefania Crocitti.
Il dibattito
La ricerca ha acceso il dibattito in aula tra maggioranza e minoranza.
“La commissione di oggi allarga l’orizzonte della Settimana della legalità e conferma il lavoro di prevenzione fatto dalla Regione Emilia-Romagna su un tema molto delicato: sarà importante proseguire l’attività sul territorio coinvolgendo le comunità locali“, ha sottolineato la presidente Marchetti. Sulla stessa linea Giammaria Manghi, Responsabile della Segreteria del Presidente della giunta, che ha ricordato come la ricerca sia stata sviluppata all’interno delle attività 2022 sostenute dalla Presidenza della giunta regionale.
Più in generale è tutto il centrosinistra ad apprezzare la ricerca curata dall’Università di Bologna.
“La ricerca è importante perché ci permette di conoscere il problema dei giovani e di capire quali provvedimenti prendere“, ha evidenziato Silvia Zamboni (Europa Verde) che ha ricordato come “è chiaro che c’è una frustrazione sociale crescente nei giovani e anche per questo occorre agire per una redistribuzione della ricchezza in modo da dare risposta ai problemi sociali“.
Per Francesca Maletti (Pd) “lo studio dell’Università ci racconta di come è la vita di una parte importante delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi e ci consegne informazioni interessanti per il nostro lavoro“.
Dal canto suo Stefania Bondavalli (Lista Bonaccini) ha sottolineato come la ricerca spieghi bene l’importanza di una correttezza di linguaggio quando si affrontano questi temi, a cominciare dall’utilizzo della parola baby gang, molto inappropriato.
Diametralmente opposto la posizione del centrodestra.
“I numeri in nostro possesso, che abbiamo attinto da fonti e osservatori ufficiali, parlano di una situazione molto più complessa di quella raccontata nella ricerca. Non è vero che in Emilia-Romagna le cose vanno bene perché anche in Emilia-Romagna c’è allarme sociale“, spiega Valentina Stragliati (Lega), per la quale alle forze dell’ordine e alla magistratura spetta la parte repressiva, alle istituzioni, in primo luogo la Regione, quella di collaborazione per la prevenzione.
Netto Luca Cuoghi (Fdi): “Non bisogna sminuire il problema delle bandi giovanili perché queste aggregazioni rappresentano il centro di arruolamento della criminalità e del mondo dello spaccio“.
Dal canto suo l’assessore al Welfare Igor Taruffi ha sottolineato la validità della ricerca e ricordato come su questo tema si debba intervenire a 360 gradi.