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15 giorni in terapia intensiva

Il racconto del signor Sebastiani, primo paziente estubato all'Infermi

In foto: il signor Franco Cesare Sebastiani, 79 anni
il signor Franco Cesare Sebastiani, 79 anni
di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 3 minuti
gio 16 apr 2020 11:54 ~ ultimo agg. 17 apr 09:27
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Quando un paziente comincia a riprendersi dopo l’infezione da Coronavirus può rendersi necessario anche un programma di riabilitazione fisica. Specialmente se il paziente è anziano, è rimasto “allettato” e immobile per molto tempo o se è stato in rianimazione ed è stato intubato. In questi casi, spiega l’azienda sanitaria, intervengono i fisioterapisti e i medici della “Medicina riabilitativa” anche grazie alle attrezzature donate dalla Sanitaria Adjutor all’ospedale di Rimini. I fisioterapisti dall’inizio dell’emergenza collaborano con il personale della Terapia Intensiva fin da quando i pazienti sono intubati, attraverso la variazione delle posture e iniziano la presa in carico riabilitativa di riadattamento allo sforzo e alla mobilità seguendo i pazienti quando vengono trasferiti nei reparti Covid, fino ad arrivare, laddove possibile, alla stazione eretta e al cammino in vista di un rientro al domicilio in sicurezza.

L’Ausl ha raccolto la testimonianza di Franco Cesare Sebastiani, paziente che, visto il quadro clinico e la diagnosi di Coronavirus, i medici hanno deciso, subito dopo il suo arrivo in ospedale, di ricoverare in Rianimazione dove è stato sedato e intubato. Di quel momento ricorda solo le voci. Alcune parole. “Medici o infermieri, non lo so, che mi facevano coraggio… Poi più nulla. Fino a quando mi sono risvegliato…”. Per 15 giorni Franco Cesare, 79 anni, è rimasto in quella sorta di limbo. Poi è stato il primo paziente della Rianimazione riminese ad essere estubato. Era il 21 marzo e da allora i pazienti che, come Sebastiani, sono letteralmente “tornati alla vita”, sono stati 24.

Signor Sebastiani racconti come sono andate le cose?

“Verso fine febbraio sono andato al compleanno della mia nipotina che abita fuori regione, una festa che si è svolta in una sala con tante persone. Qualche giorno dopo sono rientrato a casa e ho iniziato ad avere la febbre. Ho preso la tachipirina e all’inizio è abbassata, ma poi è tornata molto alta e facevo fatica a respirare. Allora ho deciso di andare al Punto di Primo soccorso di Novafeltria”.

E lì cosa è successo?

“I medici hanno capito che ero un caso sospetto di Coronavirus e così mi hanno subito isolato e, con una ambulanza attrezzata, mi hanno portato all’ospedale di Rimini”.

Lì è stata confermata la diagnosi ed è stato subito ricoverato in Rianimazione?

“Sì hanno visto subito che la situazione era grave e così mi hanno ricoverato in Rianimazione e quasi subito intubato. Di quel periodo non ricordo nulla. Ricordo solo quando mi sono risvegliato”.

Poi all’“Infermi” è rimasto qualche altro giorno.

“Sì per riprendermi. Ho iniziato a fare la riabilitazione: all’inizio è stata dura, ero molto debilitato e non mi reggevo in piedi, ma con le fisioterapiste ho iniziato a recuperare la stazione eretta aiutandomi con un deambulatore e ho fatto il primo passo. Poi mi hanno trasferito qui a Novafeltria”.

E ha ripreso anche i contatti coi suoi famigliari?

“Sì, mia moglie, con tutte le cautele del caso, viene a portarmi abiti e altre cose. E ho potuto parlare al telefono anche con altri conoscenti: mi hanno detto che, per quelle che erano le mie condizioni, mi avevano dato per spacciato. E invece eccomi qui…”.

Cosa vorrebbe dire alle altre persone che, invece, sono ancora malate e alle loro famiglie?

“Che ci vuole tanta pazienza e che bisogna fidarsi di quello che raccomandano i medici. Bisogna rispettare le regole. Se ci viene detto che è meglio non uscire di casa bisogna fare così, non c’è altro da fare. E poi vorrei ringraziare tanto e di cuore tutti i medici, infermieri, operatori con cui ho avuto contatto e che si sono presi cura di me. Rianimatori, infettivologi, riabilitatori e specialisti di altri servizi. Tutti molto bravi, professionali, e tanto gentili. Non ce ne è stato uno che abbia avuto un qualsiasi gesto di impazienza o scortesia, nonostante il grande impegno che sopportano. E vorrei fare un complimento anche alle cucine ospedaliere per la qualità e il gusto del cibo. Da zero a dieci, tutti meritano il massimo dei complimenti”.