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L'intervista

“Insieme per crescere”. Debora Natili racconta 30 anni di Get a Rimini

di Silvia Sanchini   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
lun 3 feb 2020 11:28 ~ ultimo agg. 6 feb 16:29
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Debora Natili è direttrice dell’Area scuola ed extra-scuola e dell’Area giovani della cooperativa sociale Il Millepiedi. Due aree in cui si realizzano numerosi progetti e servizi, che vanno dal sostegno scolastico agli interventi domiciliari, dalle collaborazioni con la pediatria di comunità ai Centri giovani, dalle web radio all’educativa di strada. Ma un settore fondamentale è occupato dai Get, i Gruppi educativi territoriali, che occupano un posto speciale anche nel cuore di Debora. Questo servizio coinvolge da 30 anni più 400 bambini e ragazzi ogni anno e circa 40 educatori. Sono attivi nel distretto nord e nel distretto sud della provincia di Rimini e si rivolgono a bambini e ragazzi dalle scuole elementari alle superiori, segnalati dai servizi sociali o che vi accedono liberamente.

Che cosa sono esattamente i Get?

Si tratta di gruppi che riescono a garantire un’accoglienza professionale, individualizzata e specialistica pur in uno stile informale e che evita lo stigma. I Get operano dal lunedì al venerdì durante tutto l’anno scolastico, ogni gruppo è gestito da un’equipe di educatori specializzati. Nell’osservarli ci si accorge che in questi gruppi non esistono etichette ma che le diversità riescono a convivere piacevolmente. È un servizio inclusivo, in cui possono incontrarsi bambini e ragazzi con situazioni ed esperienze diverse, senza barriere. L’aspetto più interessante è la spontaneità con cui tutto questo si realizza: dall’esterno si vede un gruppo di ragazzi che si divertono insieme. Ma è molto di più: un luogo di confronto con i coetanei e con gli adulti in un ambiente tutelato e stimolante.

Perché è così importante la dimensione del gruppo per i bambini e i ragazzi?

Il gruppo per tutti è una possibilità di crescita personale e di vita. Nel gruppo ci si educa al rispetto della diversità, al riconoscimento di ciò che si ha, all’inclusione…è un’esperienza arricchente per tutti perché si scopre che l’insieme è molto più potente delle singole parti. È un’opportunità per vedere la vita da altre prospettive, per imparare a non dare niente per scontato. Questo, naturalmente, nei Get avviene sempre sotto lo sguardo attento di professionisti e adulti significativi che gestiscono in maniera positiva le varie dinamiche che si creano in un gruppo.

Qual è l’ulteriore valore aggiunto per bambini e ragazzi con disabilità?

Essere in gruppi accoglienti e non giudicanti permette di dare il meglio di sé. Si scoprono abilità che in altri contesti i ragazzi spesso non riescono a tirare fuori, riuscendo a potenziare le proprie competenze e a scoprirne di nuove. Nei nostri gruppi facciamo il possibile perché i bambini imparino a vedere e a riconoscere le loro risorse più che i loro limiti. I nostri sono gruppi cooperativi, mai competitivi. Penso alle staffette: un gioco che ci permette di valorizzare le differenze e le capacità dei ragazzi tenendo conto delle loro specificità.

Che tipo di educatori lavorano nei Get?

Sono professionisti che hanno voglia di sporcarsi le mani, di spendere il loro tempo insieme ai bambini e ai ragazzi. Sono persone leali e trasparenti, capaci di ammettere anche i loro limiti. Perché nessuno di noi è perfetto. Mi ricordo una volta in cui dovevamo costruire ognuno il proprio aquilone: il mio era un disastro e non sono riuscita a farlo volare. Mostrarmi davanti ai ragazzi anche con le mie imperfezioni mi ha avvicinato ancora di più a loro. I bambini e i ragazzi che frequentano i Get ci scelgono: tranne in rari casi non sono obbligati a frequentarli.

Questa per noi è una sfida, ma anche una grande soddisfazione quando scatta quell’alchimia che ci permette di creare legami solidi. Naturalmente l’educatore deve anche sapersi a un certo punto mettere da parte: non dobbiamo creare una dipendenza affettiva ma mostrare ai ragazzi che possono farcela anche senza di noi. Per questo cerchiamo di facilitare la nascita di relazioni anche al di fuori del contesto dei Get, perché è giusto preparare i ragazzi a percorrere la loro strada anche senza di noi.

C’è tra i tanti ragazzi incontrati una storia che più delle altre ti è rimasta nel cuore?

Ce ne sarebbero tante, ma mi viene subito in mente M. Un ragazzo meraviglioso ma che a scuola era un disastro. Si rifiutava di scrivere temi, lasciava i fogli in bianco. Non aveva problemi cognitivi ma era arrabbiato con il mondo e non si sentiva amato. Quando gli ho chiesto perché non consegnava i temi a scuola, mi ha spiegato che era perché si vergognava di parlare della sua famiglia e di quello che faceva. Allora gli abbiamo comprato un quadernino e abbiamo iniziato a scrivere un tema al giorno insieme a lui quando era al Get.

Conservo ancora un suo tema bellissimo in cui raccontava dei suoi cani. Portammo questo quaderno a scuola: un professore particolarmente illuminato capì la sua situazione e gli diede la possibilità di scrivere temi sugli argomenti che lui preferiva. Sembra banale ma mettere in raccordo diversi interlocutori (scuola, educatori, famiglia…) è stato fondamentale. Sono passati tanti anni ma con M. siamo ancora in contatto, così come con molti altri ragazzi. C’è chi ci chiama quando ha preso la patente, chi ci presenta il fidanzato o la moglie.

Sono legami che durano nel tempo perché il Gruppo è stato un punto di riferimento. Per i ragazzi e, spesso, anche per le loro famiglie. C., un ragazzino che frequentava il Get, oggi da adulto ha frequentato un corso da Oss e lavora in un servizio della Cooperativa.

Qual è il vostro auspicio per il futuro?

Nei Get abbiamo ormai sviluppato un insieme di competenze e un’esperienza che è un capitale da non disperdere. Siamo molto concentrati sulla dimensione del fare, ma dobbiamo iniziare anche a raccontare all’esterno quello che facciamo, per fare in modo che questa esperienza diventi patrimonio di tutto il territorio.

Anche per questo inizieremo un percorso a puntate in cui raccontare il Get da vari punti di vista. Dopo aver ascoltato Debora Natili, intervisteremo educatori, ragazzi, famiglie, servizi sociali… Tante voci per raccontare un’unica storia che da tre decenni è la storia di centinaia di bambini e ragazzi che hanno trovato nel gruppo un’occasione irripetibile di arricchimento e di crescita.