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E se nascere uomo fosse (incredibilmente) il nuovo 'Fattore C'?

In foto: repertorio
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di Gianluca Angelini   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
sab 31 mar 2018 14:48 ~ ultimo agg. 14:50
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Di fronte alle persone scivolate per sempre nel Mediterraneo – divenuto tomba liquida per migliaia di uomini e donne negli ultimi anni –, davanti alle immagini della Siria e Ghouta devastate, ai resoconti dei reportage giornalistici in Libia, la considerazione più naturale che possa balzare alla mente è che noi – pur in una realtà italiana sempre più difficile – siamo stati benedetti dal ‘Fattore C’. Il fattore fortuna, per chi è più educato. Culo, per tutti gli altri. E pure sfacciato: a nascere da questa parte del pianeta. Quella giusta. Quella che in qualche modo, dopo un paio di Guerre Mondiali, ha avuto pace, sostanziale democrazia, prosperità. Ricchezza e potere. Una bella fortuna, davvero.
Poi, invece, nell’anno di grazia 2018 – solo a leggere i giornali e stando alla nuda cronaca – vien da pensare che ci sia – incredibilmente – un ‘Fattore C’ del ‘Fattore C’: nascere uomini. Incredibilmente. Perché nel 2018, dopo decenni di lotte per affermare pari dignità e pari diritti, norme sulla parità di genere, tante prese di posizioni autorevoli, cariche istituzionali a battagliare sull’uso delle parole, sembra di essere tornati in pieno Medio Evo, quando nascere maschio era considerato una ricchezza.
Davvero basta sfogliare un giornale – cartaceo o elettronico – per imbattersi in una spirale in cui si avvitano femminicidi; opportunità di lavoro diametralmente opposte tra uomini e donne; scarti tra le retribuzioni di maschi e femmine nonostante una maggiore preparazione per queste ultime; una politica che, a parole, non è mai stata così rosa e, nei fatti, lo è come sempre poco. Senza contare quelle pagine Web – aperte, chiuse, poi riaperte, poi richiuse e ancora aperte sui sociale media – intrise di misoginia, offese gratuite, denigrazioni, sberleffi taglienti, derisioni urticanti fatti passare per ironia e satira.
In Italia – Paese che fino al 5 settembre del 1981 aveva nel codice penale il delitto d’onore – secondo dati presentati dall’Eures nei giorni scorsi in media si registra una donna uccisa ogni 60 ore. Dal 2000 ad oggi sono state 3.000: a guardare solo gli ultimi anni i casi di femminicidio sono stati 142 nel 2015, 150 nel 2016, 114 nei primi 10 mesi del 2017 cui vanno aggiunti i 27 di quest’anno. Secondo l’Eures, ancora, l’incidenza di vittime di sesso femminile negli omicidi volontari è salita dal 26,4% del 2000 al 37,1% di due anni fa e almeno un quarto dei ‘femminicidi di coppia’ ha una storia di pregresse violenze compiute dall’autore che, nel 44,6% dei casi, la futura vittima aveva denunciato senza però ottenere una qualche forma di protezione.
Numeri agghiaccianti. Raggelanti. Sia per il dato in sè, sia per la considerazione della donna e la sua indipendenza. Conquistata – anche in questo caso incredibilmente – a fatica. E ancora così difficile da accettare per tanti uomini.
Che, nella società, continuano a mantenere ruoli di preminenza. A prescindere da merito e preparazione. E che vedono le donne costrette a ‘faticare’ di più per vedere riconosciute le proprie competenze, per il solo fatto di essere donne.
Concetti che emergono, chiarissimi, dall’indagine annuale condotta da AlmaDiploma e AlmaLaurea secondo cui le donne italiane riportano “risultati più brillanti lungo il percorso formativo e in quasi tutti gli indirizzi di studio rispetto agli uomini, ma sul mercato del lavoro scontano ancora un forte divario in termini non solo occupazionali e contrattuali, ma anche e soprattutto retributivi”.
In base ai dati raccolti le ragazze già dalle medie inferiori “se la cavano meglio” dei ragazzi portando a casa un voto d’esame piu’ elevato (il 35% delle ragazze contro il 26% dei ragazzi ottiene 9 su 10) cosa che fanno anche alle superiori con un voto medio di diploma di 78,6 su cento per le ragazze contro il 75,1 dei ragazzi. “Più brillanti” alle superiori, le donne si confermano “più brillanti” anche all’Universita’. Tra i laureati del 2016, la quota delle ragazze che si laureano in corso e’ superiore a quanto registrato per gli uomini (rispettivamente il 51% e il 46%) e il voto medio di laurea e’ uguale a 103,4 su 110 per le prime e a 101,3 per i secondi. Quanto alla condizione occupazionale dei laureati, evidenzia Almalaurea, “tra i laureati magistrali biennali, a cinque anni dal conseguimento del titolo le differenze di genere si confermano significative: il tasso di occupazione e’ pari all’81% per le donne e all’89% per gli uomini mentre a un lustro dal titolo i contratti alle dipendenze a tempo indeterminato riguardano il 61% degli uomini e il 52% delle donne”.

Anche dal punto di vista retributivo si registrano differenze di genere: “Tra i laureati magistrali biennali che hanno iniziato l’attuale attività dopo la laurea e lavorano a tempo pieno emerge che il differenziale, a cinque anni, e’ pari al 19% a favore dei maschi: 1.637 euro contro 1.375 euro delle donne”. Inoltre, viene evidenziato, “la lettura dei dati conferma che le donne sono più penalizzate sul lavoro se hanno figli. Il differenziale occupazionale a cinque anni dalla laurea sale a 29 punti percentuali tra quanti hanno figli: isolando quanti non lavoravano alla laurea, il tasso di occupazione risulta pari al 90% per gli uomini, contro il 61% per le donne. Anche nel confronto tra laureate, chi ha figli risulta penalizzata: a cinque anni dal titolo il tasso di occupazione delle laureate senza prole e’ pari all’80%, con un differenziale di 19 punti percentuali rispetto alle donne con figli”.
E guardando alla politica – pur se nella neonata legislatura si ha, per la prima volta una donna alla guida del Senato – l’Istituto Cattaneo, a ridosso delle lezioni dello scorso 4 marzo, ha pubblicato un rapporto sulla presenza dei partiti sulle reti televisive pubbliche in cui si è evidenziato, senza mezzi termini, una certa disparità di genere. “La parte più consistente dello spazio riservato agli interventi dei politici – è scritto nel documento – è controllata e gestita da uomini. In media, solo un quarto del tempo che il servizio pubblico ha dedicato ai temi della campagna elettorale ha coinvolto una donna. Questo trend vale per la maggioranza dei partiti italiani (da Casapound a Forza Italia, passando per il Pd e il M5s) e gli unici partiti in cui i rapporti di forza tra uomini e donne sono invertiti sono quelli che possiedono una leadership al femminile (+Europa, Fratelli d’Italia, Civica popolare e Potere al popolo). In questa prospettiva, oltre agli squilibri nella distribuzione dei tempi televisivi tra le principali forze politiche, emerge chiaramente anche l’esistenza di un vulnus nelle modalità attraverso le quali viene garantita una equità di trattamento tra le donne e gli uomini che praticano l’attività politica”.
Che dire. Anno Domini 2018. Ma non sembrerebbe.

Dal blog Pendolarità