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Cronaca Newsrimini Rimini

Senzatetto bruciato vivo a Rimini, il testimone racconta

di Redazione   
Tempo di lettura 3 min
Ven 14 Nov 2008 01:50 ~ ultimo agg. 12 Mag 18:10
Tempo di lettura 3 min

«Ho visto delle fiamme abbastanza grandi, la panchina in fiamme, poi l’uomo, ho voltato la macchina e sono tornato indietro a soccorrere questa persona, che stava bruciando viva». E’ la scena che si e presentata gli occhi di William Mancini (nella foto di Manuel Migliorini), il giovane riminese di 23 anni che ha prestato soccorso ad Andrea Severi, il senzatetto al quale hanno dato fuoco a Rimini, pochi giorni fa. E’ lui il primo testimone dell’attentato all’uomo, il primo che ha cercato di aiutarlo a spegnere le fiamme che lo avvolgevano. Il tempo di scendere dall’auto e raggiungere il malcapitato e arriveranno due ragazze, straniere, giovani anche loro, di pochi anni più grandi. Il rogo nella notte lo ha colpito mentre tornava a casa, dopo aver lavato l’auto in un autolavaggio sulla statale.

Racconta, nella lunga intervista, di cui ampi brani saranno trasmessi da Newsrimini.it ed è-Tv, che ha cercato di spegnere il fuoco «con le mani. Nella fretta non ho pensato di usare il giubbotto. Non avrei potuto, avevo solo una maglietta indosso. In contemporanea sono arrivate le due ragazze, che hanno chiamato il 118».

Dalla strada, William vede le fiamme, poi l’uomo e inverte l’auto. Intanto, Andrea Severi, cerca di spegnere il fuoco «da solo, si era allontanato dalla panchina, finendo sull’aiuola, si stava rotolando nell’erba. Era già a terra». Dopo aver spento le fiamme, Andrea «diceva che lo avevano bruciato vivo, diceva anche qualche parolaccia». «I pantaloni non c’erano più, si vedeva la carne viva e gocce di sangue che colavano», continua a raccontare William «gridava, lo choc era tanto, era spaesato, scosso, ha cominciato a insultare quelli che l’avevano bruciato vivo. Gli ho chiesto se sapeva chi era stato, ha detto di no, dormiva, si è accorto delle fiamme quando erano già divampate».

Cosa ha detto Andrea Severi ai soccorritori, chiediamo a William. «Ha detto che non voleva essere aiutato perché la panchina era la sua e voleva rimanere lì. Non voleva essere accompagnato all’ospedale. Ma, vedendo le gravissime condizioni, le ustioni sulle gambe, sul volto e sulle mani, i sanitari hanno deciso di chiamare rinforzi, per convincerlo ad andare in ospedale e, se si rifiutava, sarebbe stato portato con la forza».

Che idea ti sei fatto di quel che è accaduto? «Rabbrividisco, vedere queste cose nella città dove abiti non è bello. Ti fai un’idea totalmente differente della tua città-. Non penseresti di vedere certe scene capitare nella città dove vivi. Sapere che c’è gente che fa questi reati, senza cuore, perché questo è un tentato omicidio, alla fine, non sai cosa pensare».

«Non credo che sia stato un tentato suicidio – dice ancora, mentre con lui passiamo in rassegna le ipotesi circolate, anche solo sussurrate, sulla vicenda – ci sono elementi che lo escludono il tappo della tanica, era su un paletto in mezzo al marciapiede, lo spartitraffico per le biciclette». «Secondo me lo volevano uccidere, il fuoco davanti alla panchina, su di lui, era premeditato. Non era un avvertimento». E crede che gli inquirenti abbiano una traccia, le domande che gli hanno fatto in una seconda convocazione, glielo fanno supporre.

Enrico Rotelli /Newsrimini

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