L’indignazione diventi forza di cambiamento.


Sant’Agostino affermava che “La speranza ha due figli bellissimi: l’indignazione e il coraggio. L’indignazione davanti alle cose così come sono, il coraggio per cambiarle!”.
Don Gigi Ciotti, che non è un padre della Chiesa, ma certo un suo bravo figlio dice: “Non dobbiamo perdere la capacità di indignarci, persino di arrabbiarci di fronte alle ingiustizie che piegano, che umiliano le persone…”.
Che dire allora se ogni giorno, come ha ricordato Sergio Zavoli al Festival Francescano, muoiono in media per la fame, le malattie, le violenze 27.000 bambini e questo accade per meccanismi perversi generati dall’economia mondiale?
Che dire di notizie come quella di qualche tempo fa che a Mosul in Iraq, era stata torturata e lapidata Samira Saleh al-Nuaimi una avvocatessa musulmana che si era battuta per il diritti umani e contro la violenza jihadista?
Che dire quando continuiamo a leggere che alcuni deputati sono intenti a difendere i propri privilegi mentre la crisi continua a tenere in ginocchio milioni di persone e famiglie?
Che dire se l’Organizzazione mondiale delle migrazioni ci avverte che dall’inizio del 2014 oltre 4mila persone (persone come me, te, tuo figlio…) sono morte in tutto il mondo mentre cercavano di migrare via terra o via mare e di queste, oltre 3mila sono morte solo nel Mediterraneo?
Che dire di fronte all’egoismo e al razzismo, alla violenza prima verbale dei social forum, poi concreta, dilagante generata dalla paura, dall’insicurezza, ma anche dall’ignoranza e dalla strumentalizzazione politica?
Come cristiani non possiamo non indignarci, ma cogliendo l’invito di Gesù a non essere “sepolcri imbiancati” siamo invitati per primi a convertirci, a cambiare.
“L’educazione di cui oggi abbiamo maggior bisogno – ancora don Ciotti ci aiuta nella nostra riflessione – è allora proprio quella alla libertà, alla responsabilità, all’intelligenza critica. L’unica in grado di spezzare le catene del conformismo, della rassegnazione e quindi dell’ingiustizia, rendendoci capaci di operare coraggiosamente i cambiamenti necessari affinché i diritti e la dignità di tutti gli uomini siano rispettati e promossi”.
Dal mese di ottobre, nel decennale della beatificazione, la Chiesa riminese propone la figura di Alberto Marvelli, un giovane che non aveva certo paura di indignarsi, ma che ha sempre accompagnato la sua “sana rabbia” ad un forte impegno accanto ai piccoli e deboli. Anche Alberto non è un padre della Chiesa, ma un suo degno figlio. Figlio anche di questa Città. Ed è bene, e importante per tutti noi, che Alberto si “riappropri” della sua città, che tutto le dato e alla quale ha dato tutto. Se avremo il coraggio di guardare al suo esempio, l’indignazione che abbiamo nel cuore diventerà forza di cambiamento.