Indietro
menu
Economia Provincia

"Dieci anni di economia". Su Icaro TV la presentazione del libro di TRE

In foto: la copertina
la copertina
di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 8 minuti
gio 10 dic 2015 16:59 ~ ultimo agg. 11 dic 10:26
Facebook Whatsapp Telegram Twitter
Print Friendly, PDF & Email
Tempo di lettura 8 min
Facebook Twitter
Print Friendly, PDF & Email

Questa sera alle 21.10 su Icaro Tv sarà trasmessa la presentazione del libro “Rimini, dieci anni di economia” a cura di Primo Silvestri in occasione dei dieci anni del mensile Tutto Rimini Economia edito da Il Ponte. La presentazione del libro, si è svolta oggi pomeriggio alla sede della Camera di Commercio di Rimini.

Un viaggio tra i punti di forza e le debolezze dell’economia locale, un’analisi su come il territorio di Rimini esce dagli anni più acuti della crisi e su quelle che possono essere le strategie di rilancio dell’economia, a partire da investimenti mirati e dal sostegno alle nuove imprese, soprattutto quelle che nascono dai giovani.


 

Rimini, dieci anni di economia. Tra passato e futuro

Introduzione

Nel 2015 ricorrono i primi dieci anni di pubblicazione del mensile TuttoRiminiEconomia (TRE), edito dal settimanale Il Ponte. Diecimila copie, in maggior parte distribuite tramite abbonamenti.
Siamo nati con l’obiettivo di occupare uno spazio informativo che all’epoca, ma in parte anche adesso, sembrava carente. E con il fermo proposito di offrire, in un campo delicato come lo sviluppo locale, una informazione documentata, che approfondisse i temi e scendesse nella vita reale delle imprese e delle persone.
In tutto questo periodo abbiamo visitato e scritto di un centinaio di aziende del nostro territorio, spesso scelte col metodo del passaparola, perché volevamo raccontare e documentare quelle che, in un periodo tanto difficile, dimostravano comunque di avere una marcia in più, per innovazione, investimenti, creatività, apertura ai mercati internazionali. Sicuramente non le abbiamo raggiunte tutte e continueremo a cercarle.
Rimini: una demografia matura

Sicuramente per parlare di futuro non si può prescindere dall’aspetto demografico, cioè dalle persone. Questo è vero, in generale, per i paesi sviluppati, ma vale anche per la realtà locale. Perché la popolazione non ha uguali energie, vitalità, voglia di intraprendere, stile di consumo, necessità di servizi (pensiamo alla salute) a tutte le età. Con gli anni tante esigenze cambiano e questo ha ricadute sull’economia e la società.

Non sfugge a questa regola nemmeno la provincia di Rimini, dove le persone che hanno superato 65 anni sono prossime al 22% della popolazione totale (costituita da 336 mila abitanti) e quelle ultra settantacinquenni hanno superato l’11 %. Con tutte le conseguenze sopra richiamate. A cominciare dalla discesa, lenta ma inarrestabile, delle persone in età per lavorare, cioè che hanno tra 15 e 64 anni: rappresentavano il 70% della popolazione nel lontano 1981, tetto massimo raggiunto dal dopo guerra, si sono ridotte a meno del 64 % nel 2015. Nei comuni dell’entroterra come Casteldelci, Pennabilli e Sant’Agata Feltria gli ultrasessantacinquenni hanno già oltrepassato la soglia del 25%, mentre a Rimini capoluogo sono il 23%, che diventa il 25 % se dal conteggio si escludono i residenti stranieri (che essendo più giovani, abbassano la media). E’ dagli anni Novanta del secolo scorso che i giovani sono meno degli anziani.

Ma la situazione demografica provinciale sarebbe ancora più critica se in questi anni non ci fossero stati importanti flussi migratori in entrata a compensare l’invecchiamento e la bassa natalità dei locali. Un dato per tutti: dal 1990 al 2014, sono mancate oltre mille nascite per pareggiare i conti con i decessi. Un saldo naturale che sarebbe stato ancora più negativo senza i figli degli immigrati, nati a Rimini, che oggi rappresentano il 18% di tutte le nascite del territorio.

In questo contesto va registrato, purtroppo, anche il fenomeno, in crescita, di tanti giovani riminesi che emigrano all’estero per mancanza di opportunità: dall’inizio della crisi sono stati poco meno di seicento. Sono quelli iscritti all’AIRE, ma potrebbero essere molto di più.
L’economia, le imprese, l’innovazione e l’export

Se l’Italia è ancora lontana dal recuperare il pil d’inizio crisi, non sta molto meglio l’economia locale che a stento mantiene i propri numeri (valore aggiunto sopra 8 miliardi di €), perdendo però posizioni in Regione. A testimonianza che nella crisi ha fatto peggio.

Cambiamenti importanti, negli ultimi dieci anni, hanno riguardato un po’ tutti i settori, ma in modo particolare la manifattura, che ha perso un migliaio di aziende. Di conseguenza l’apporto dell’industria al valore aggiunto provinciale è sceso di cinque punti, dal 17 al 12 %, mentre i servizi, che comprendono anche il turismo, salgono dal 76 all’80 %, dodici più del valore regionale.
Una divisione, quella tra manifattura e servizi, almeno certi servizi, più contabile che reale, perché già buona parte della catena di valore del secondario è oramai costituita proprio da servizi all’impresa (ricerca, marketing, comunicazione, design, ecc.). Questo vuol dire che disporre di certe industrie è un forte traino anche per servizi di alta qualità.

In ogni caso il territorio sconta una dimensione delle aziende molto piccola, tanto da essere più appropriato parlare di micro imprese, visto che il 95% cento non raggiunge i dieci addetti. Solo 19, delle oltre 34 mila imprese provinciali, che per la prima volta decrescono, superano i 200 occupati.
Un calo del numero delle imprese che sarebbe molto più pesante se non si fossero rimboccate le maniche, avviando nuove attività, tante donne e immigrati (è loro un’impresa su dieci), che in parte hanno tamponato le falle. Meno bene vanno invece le start up, le nuove imprese innovative, dove Rimini è in fondo, come densità, alla classifica regionale.

Com’è facile prevedere, la ridotta dimensione rende più difficile innovare, competere, ma soprattutto affacciarsi ai mercati internazionali. Anche se ci sono delle felici eccezioni.

Il confronto, in termini di investimenti, tra le imprese locali e il resto dell’Emilia Romagna è illuminante: nel 2013, 41 mila euro è stato l’investimento medio di una impresa innovativa di Rimini, contro i 114 mila del dato regionale (quasi il triplo in più).

Non aiutano gli investimenti, tanto meno le giovani imprese, i tagli del credito bancario (pur essendo le banche piene di fondi), su cui pesano sofferenze che sono aumentate del 575% negli ultimi sei anni, con un numero di soggetti coinvolti pari agli abitanti del comune di Morciano di Romagna.

Non meno significativa è la distanza tra le esportazioni provinciali e quelle regionali, pur rappresentando queste una importante componente della domanda: 52 mila euro è l’export per impresa a Rimini, nella quasi totalità manifatturiero, sistema moda in testa, contro 170 mila euro di Reggio Emilia (la prima in regione), 159 mila euro di Modena, 134 mila euro di Parma e 132 mila euro di Bologna.

Per contenuto tecnologico, solo il 42% dell’export riminese del 2014, comunque in recupero sugli anni passati, si può definire di “alta tecnologia”, a fronte però del 49 % dell’Emilia Romagna. A conferma che, anche in tempi di crisi, è l’innovazione a far vincere, non il ripiegamento su prodotti di bassa qualità, dove la concorrenza è maggiore e i margini di profitto minori.

Il poco export si traduce in un tasso di apertura verso l’esterno dell’economia provinciale riminese – un indicatore che misura quanto le esportazioni e le importazioni (gli scambi internazionali) pesino sul valore aggiunto prodotto – che si ferma al 30%, quando la media dell’Emilia Romagna e del Nord Est è del 61%. Rimini, cioè, è la metà meno aperta agli scambi con l’estero.
Il turismo “bloccato”

Nel mondo, nonostante le crisi, i viaggiatori internazionali continuano a crescere al ritmo del 4-5% l’anno, tanto d’aver superato, già nel 2014, il miliardo di arrivi alle frontiere. Di questo passo, l’Organizzazione Mondiale del Turismo (OMT) stima che nel 2030 ci saranno nel mondo 1,8 miliardi di viaggiatori (su una popolazione di circa 8 miliardi).

Questa crescita non sembra però interessare la Riviera di Rimini, che a fine 2014 (ma non è andata meglio nel 2015, salvo singole località), si ritrova con lo stesso numero di pernottamenti (circa 15 milioni) di dieci anni fa, ma due milioni in meno dei gloriosi anni Ottanta del secolo scorso.
Il buon andamento del turismo estero, 4 milioni di presenze, ha parzialmente compensato le perdite nazionali, ma anche questo è ben al di sotto dei 6,5 milioni di pernottamenti raggiunti sempre negli anni Ottanta.
Non decolla nemmeno il turismo dell’entroterra, già una piccola frazione di quello balneare, nonostante le promesse e gli investimenti fatti.

In controtendenza rispetto ai pernottamenti marciano invece gli arrivi, che in provincia di Rimini sono passati da 2,6 milioni dell’anno 2000 a 3,2 milioni nel 2014, con un incremento del 20%. Arrivi in crescita e pernottamenti fermi, o in calo, ci dicono che c’è stata una riduzione della permanenza media dei visitatori, che in effetti scende da 5,9 notti del 2000 a 4,7 notti nel 2014. Ma questo è un fenomeno comune.

La riqualificazione delle strutture ricettive è innegabile, come dimostra la fuoriuscita dal mercato di oltre mille hotel delle categorie più basse. Ciononostante gli hotel di fascia medio-alta, quelli più richiesti dalla clientela internazionale e non balneare, come congressi e fiere, rimangono ancora pochi: appena il 7 % degli alberghi della provincia di Rimini, quando raggiungono il 15 % a Ferrara, il 20 a Venezia, il 17 a Jesolo e il 26 % a Roma.

Un ritardo di innovazione confermato anche da una indagine della Provincia di Rimini, di marzo 2015, da cui emerge che la metà delle imprese del settore (alberghi, ristoranti, agenzie di viaggio, ecc.) non ha introdotto nessuna innovazione negli ultimi tre anni. Percentuale di otto punti più elevata della media delle strutture turistiche dell’Emilia Romagna.

Se a questo aggiungiamo che già qualche anno fa la Banca d’Italia era arrivata alla conclusione che i prezzi dei soggiorni negli hotel dell’Emilia Romagna erano competitivi con le altre regioni italiane, ma non con i concorrenti della Catalogna e delle isole greche, forse si comincia a capire perché il turismo ha smesso di crescere. Nonostante le numerose iniziative di animazione che si programmano, le quali creano molto movimento (arrivi), ma poca sostanza (pernottamenti), a giudicare dai risultati. Senza considerare i messaggi che le stesse iniziative rischiano di veicolare, non sempre positivi e che per tanti segmenti di mercato potrebbero risultare persino poco allettanti. Una rifocalizzazione, magari con più spazio alla cultura (la motivazione culturale influenza quasi il 40% dei turisti internazionali che visitano il nostro Paese), al benessere, alla qualità e alla tranquillità dell’ambiente, potrebbe essere la strada da imboccare per non perdere ulteriore terreno.

Il lavoro che continua a mancare

Se l’economia locale non cresce e le imprese diminuiscono, le ricadute sull’occupazione sono inevitabili. Infatti, calano gli occupati (da 139 mila del 2011 a 135 mila nel 2014) e crescono i disoccupati, che da 12 mila nel 2011 sono diventati 17 mila nel 2014, raggiungendo un tasso di disoccupazione (persone che vorrebbero lavorare ma non trovano) che supera l’11%, circa tre punti in più del dato regionale.
Ma se a queste cifre, aggiungiamo i cassaintegrati a zero ore e gli scoraggiati, che il lavoro hanno smesso di cercarlo, i senza lavoro potrebbero salire di ulteriori 9 mila unità, portando il totale dei disoccupati, in provincia di Rimini, a superare le 26 mila persone. Numero che fa schizzare il tasso di disoccupazione a quasi il 17 %: dopo Ferrara, il secondo tasso di sottoutilizzo della forza lavoro più elevato dell’Emilia Romagna.

Il risultato è una divaricazione crescente, diventata cronica, tra il tasso di occupazione di Rimini (numero degli occupati in rapporto alla popolazione in età da lavoro) e quello medio regionale: nel 2014, 61% il primo, a fronte del 66 % del secondo. Cinque punti di differenza.

Ancora più preoccupante è il tasso di disoccupazione dei giovani tra 18 e 29 anni che, per Rimini, tra il 2007 e il 2014 è quasi triplicato, salendo dal 10 a poco meno del 28% (il 32 % per le donne). Anche questo quasi cinque punti sopra il dato dell’Emilia Romagna.

Ad ulteriore conferma che i giovani, anche se muniti di formazione universitaria, hanno sempre trovato in questa territorio scarse opportunità d’impiego, c’è la distanza, risalente all’anno duemila, quindi tutt’altro che recente, che separa il numero annuale dei laureati residenti (1.400 circa), di cui la maggioranza costituita da donne, dalle richieste che salgono dalle imprese private presenti (mai più di 400). Una domanda di laureati, quella delle imprese locali, molto bassa e ben lontana dai valori espressi dalle altre province regionali. Che si traduce, anche, in una minore presenza, nelle nostre aziende, di quadri e dirigenti. I profili, cioè, di più alto contenuto professionale e meglio pagati.

Non c’è quindi da sorprendersi se i salari lordi medi sono a Rimini i più bassi dell’Emilia Romagna (27,5 mila contro 29,8 mila euro di media, con punte di 31,2 mila euro a Parma).
Costruire il futuro, prendendo spunto dal passato

C’è stata la crisi, ma ci sono criticità strutturali precedenti, che non sono state mai affrontate. La prima, e più importante, sicuramente riguarda il deficit di opportunità lavorative e imprenditoriali per i tanti giovani che investono in formazione, universitaria e non. E’ vero che il problema è generale, ma a Rimini c’è qualche ritardo in più da colmare. Considerando anche la presenza, importante, di un settore turistico ad alta intensità di lavoro, ma bassa propensione ad assumere figure di formazione universitaria (nel 2015, secondo l’indagine Excelsior, se ogni cento assunzioni previste dall’industria meccanica ed elettronica i laureati erano16, nel turismo scendono a 0,6).

Tante imprese, ma piccole, sono un serio ostacolo per innovare, fare ricerca, uscire dai confini locali e proiettarsi nei mercati internazionali. Ci sono delle eccezioni, importanti e valide, ma sono troppo limitate per invertire una tendenza.
Senza una ricollocazione del profilo economico di questo territorio, che vuol dire investire di più nelle imprese innovative, vecchie e nuove, turistiche e manifatturiere, che il prof. Zamagni chiama ad “alta potenzialità di crescita”, offrire nuove e buone opportunità di lavoro sarà molto difficile.

La società e la politica locale, a partire dai punti di forza e di debolezza evidenziati, deve dotarsi di un progetto di sviluppo di medio-lungo termine, che è insieme imprenditoriale ed occupazionale.
Perché un lavoro migliore può nascere solo da imprese che investono, fanno e producono innovazione, per un mercato sempre più globale. Queste imprese, tanto più se promosse da giovani creativi e intraprendenti, ce ne sono tanti, vanno supportate e sostenute con decisione.
Scelte che richiedono una selezione delle priorità e dei “bacini imprenditoriali-occupazionali” su cui investire in forma prioritaria. Rivisitando anche alcuni mestieri dal sapore tradizionale, ma oggi molto attuali e con un mercato in crescita, come sono tante professioni artigiane che rischiano di scomparire.