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Rimini

Mirando Babele: in scena attori dal dip. Salute Mentale dell'Ausl di Bologna

In foto: Domenica alle 21 il Teatro Ermete Novelli di Rimini, nell'ambito del progetto “Mirando Babele”, propone “I giganti della montagna” di Luigi Pirandello, realizzato dal regista Nanni Garella con gli allievi del dipartimento di salute mentale della ASL di Bologna.
Domenica alle 21 il Teatro Ermete Novelli di Rimini, nell'ambito del progetto “Mirando Babele”, propone “I giganti della montagna” di Luigi Pirandello, realizzato dal regista Nanni Garella con gli allievi del dipartimento di salute mentale della ASL di Bologna.
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ven 21 mar 2003 17:21 ~ ultimo agg. 00:00
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Alle 18 il regista Nanni Garella, l’interprete Virginio Gazzolo, il Direttore del Dipartimento Salute Mentale dell’AUSL di Bologna Nord, Filippo Renda e la responsabile del progetto Arte e Salute, Gabriella Gallo incontreranno il pubblico nel Ridotto del teatro.

Di seguito la presentazione dello spettacolo:

L’allestimento de “I giganti della montagna” è per Nanni Garella il punto di arrivo di una lunga attività di ricerca svolta nell’arco di tre anni, attraverso un corso di formazione teatrale prima, e poi con la messa in scena di spettacoli, con i pazienti del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda USL Bologna Nord. L’approdo per la compagnia, formatasi con l’aiuto determinante di Virginio Gazzolo e degli altri attori del Teatro Stabile di Bologna è ora quello di un testo complesso, appassionante, estremo, forse il più ardito tentativo di Luigi Pirandello nel rinnovare il palcoscenico europeo del Novecento.

“I giganti della montagna” è un’opera incompiuta. Pirandello cominciò a scriverla nel 1929, e nel 1931 ne pubblicò il primo atto col titolo di “Fantasmi”.
La stesura provvisoria del primo e secondo atto è del 1934. Da allora, e fino alla sua morte, nel 1936, Pirandello non riuscì a scrivere il terzo e ultimo atto – non poté, o non volle, o non ebbe animo di farlo: è difficile dire. Sappiamo solo che l’ultimo pensiero, durante l’ultima notte della sua vita, fu per quel “terzo atto”, più volte immaginato, sognato, raccontato come una fiaba in punto di morte al figlio Stefano. “I giganti della montagna” è –per definizione dello stesso Pirandello- un Mito; ma il suo racconto è interrotto. Come una enorme statua mutilata esso proietta la sua ombra sulle future epoche dell’arte: un’opera titanica che lancia alta la sua sfida, e che nessuno potrà mai portare a compimento; un simbolo del fallimento, dello scacco che la poesia subisce in un mondo che non sa accettare la fantasia, l’irrazionale, la diversità, la follia.

La rappresentazione della crisi del dramma borghese, data con tragica chiarezza nei “Sei personaggi in cerca d’autore” è la premessa ideale dei “Giganti”. Lì, nel vuoto del palcoscenico, durante una prova un gruppo di “personaggi” invade la quotidianità del lavoro di una compagnia teatrale. I personaggi portano con sé un dramma incompiuto; sono essi stessi incompiuti, creati, messi al mondo dell’arte, ma privati poi della loro forma di vita; del dramma scritto, appunto, della sola e unica forma in cui potrebbero vivere, respirare, compiere gesti, dire parole. Nei “Giganti della montagna”, una compagnia di attori girovaghi, ridotti ormai alla fame, come cani randagi in lande sperdute, ai margini del mondo civile, si imbatte in un gruppo di strani esseri, bizzarri e senza storia -detti gli Scalognati- che vivono in una villa abbandonata, guidati dal mago Cotrone.
L’atmosfera tragica dei “Sei personaggi” si dirada e si stempera in un luogo ai confini tra la realtà e la fantasia. Laggiù gli Scalognati stanno faticosamente tentando di ricostruire il mondo. Personaggi non solo prodotti, ma produttori di linguaggio – essi sono ridotti per disperata necessità a reinventare ogni gesto e a dargli un nome; a compiere cioè l’operazione elementare e naturalissima di rinominare il mondo delle cose sensibili. Trasformano la povertà in ricchezza, la mancanza di cibo in placida sazietà, l’assenza di beni materiali in ascetica spiritualità, la desolata e brulla campagna in una fabbrica di sogni.
Ma troppo lontani sono i clamori delle città, dei teatri, dei caffé, troppo lontano è il benessere, la comodità della vita civile perché gli attori della Compagnia della Contessa possano decidere di fermarsi in quel luogo sperduto fra le montagne…e troppo alta, celeste, angelica è la poesia concepita da Cotrone e dai suoi amici: una poesia che serve alla vita, serve a comprenderla, ad amarla, a fecondarla, la vita. Gli attori andranno via, richiamati dalla sirena di quell’ultima recita di fronte ai Giganti della montagna; una recita che nessuno vedrà, di cui si sentirà raccontare per secoli ancora nella vallata, che resterà appunto un Mito! Lì nella Villa, gli Scalognati rimarranno soli, in attesa che qualcuno scriva il finale della loro storia. Se nei “Sei personaggi” il sipario era levato all’inizio sul vuoto del palcoscenico, e finiva col calare davvero alla fine del dramma; nei “Giganti” il sipario, che sarà chiuso all’inizio, secondo le norme del dramma borghese, rimarrà aperto alla fine su un vuoto inquietante di una scena mai scritta. Un finale aperto, più volte immaginato, sognato, raccontato come una fiaba.