Uccise la moglie malata come "atto d'amore", marito condannato a 14 anni


Quattordici anni di reclusione. E' la condanna di primo grado inflitta dalla Corte d'Assise di Rimini a Filippo Maini, infermiere in pensione di 80 anni, che il 22 giugno del 2020 uccise la moglie, la 74enne Luisa Bernardini, all'interno della loro abitazione di via Coletti a Rimini. Riconosciuto, quindi, il reato di omicidio volontario aggravato, così come sostenuto dal pubblico ministero Luca Bertuzzi, che al termine della sua requisitoria aveva chiesto per l'imputato una condanna a 21 anni.
Maini in tutti questi anni ha sempre affermato che quello commesso non doveva considerarsi un omicidio, ma piuttosto "un atto d'amore". La moglie, infatti, sua coetanea, con la quale ha trascorso 53 anni di felice matrimonio, soffriva di Alzheimer. Una forma grave che le stava facendo perdere rapidamente le sue facoltà. Sarebbe stata lei a chiedergli più e più volte di aiutarla a morire. Così, quella notte, Maini le fece ingerire dei farmaci contenenti benzodiazepina in modo da stordirla, poi la soffocò verosimilmente con un cuscino. Subito dopo cercò di togliersi la vita con un mix di farmaci e alcol, prima di infilarsi in testa due sacchetti di plastica, probabilmente non stretti così bene. Fu salvato l’indomani dall’arrivo della badante della donna, che chiamò i soccorsi.
Il difensore dell’infermiere, l’avvocato Alessandro Sarti, ha sostenuto ci fossero tutti gli estremi per ricondurre il gesto di Maini in omicidio del consenziente. Da qui la richiesta a 4 anni di reclusione (con pena sospesa). Scontato quindi il ricorso in Appello. Per il sostituto procuratore Luca Bertuzzi, invece, la vittima, titolare di invalidità civile con indennità di accompagnamento, non era più nelle condizioni di prestare alcun consenso, come accertato dai suoi consulenti. Una tesi, quest’ultima, evidentemente accolta dalla Corte, che però ha riconosciuto all'80enne le attenuanti generiche. “Non mi importa nulla di un'eventuale condanna - aveva dichiarato Maini - la vera pena è essere sopravvissuto alla mia Lulù”.