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Aumenta sperequazione

Scaglioni Irpef. Cgil contro il Governo: nessun vantaggio per redditi bassi

In foto: repertorio
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di Redazione   
Tempo di lettura 2 min
Mar 30 Gen 2024 15:22
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Dal primo gennaio 2024 sono entrati in vigore i nuovi scaglioni Irpef introdotti dall’ultima legge di bilancio del Governo. Per i redditi da zero a 28.000 € l’aliquota è del 23%, per quelli da 28.000 ad 50.000 € l’aliquota è del 35% e per quelli oltre i 50.000 l’aliquota è del 43%. la principale modifica è l’accorpamento del secondo scaglione (precedentemente del 25% per redditi tra 15.000 e 28.000 euro) nel primo scaglione con un’aliquota unica del 23%. Una decisione che viene contestata dalla Cgil di Rimini. “Sui redditi fino ad € 15.000 i benefici sono insignificanti, già vanificati dall’aumento del costo della vita e dall’eliminazione di vari bonus sociali” spiegano Francesca Lilla Parco e Roberto Battaglia dello SPI. Nulla cambia per le circa 40.000 pensioni che in provincia di Rimini non arrivano a 15.000 euro lordi annui. Anzi, secondo il sindacato, il provvedimento aumenta la sperequazione rispetto ai redditi più elevati. Blandi anche gli effetti sulla maggioranza dei redditi da lavoro dipendente, che si collocano in provincia di Rimini attorno ai 17.000 euro annui lordi (i più bassi della regione). “Questo appiattimento degli scaglioni è previsto peraltro in via sperimentale per il solo 2024 – aggiungono Lilla Parco e Battaglia –, generando confusione e sollevando interrogativi in un campo – quello fiscale – molto delicato; una riforma che secondo il Governo avrebbe dovuto essere epocale, si limita ad un anno e con incognite per il futuro dei più poveri. La norma così come congegnata contraddice l’articolo 53 della Costituzione Italiana, che sancisce il principio della progressività fiscale a garanzia dell’equità del sistema tributario“. Il timore della Cgil è che l’appiattimento degli scaglioni e delle aliquote porti alla cosiddetta “Flat Tax”, un sistema di tassazione con un’aliquota unica, priva di progressività. “Tale approccio, senza adeguati contrappesi, rappresenta uno svantaggio per i redditi più bassi – evidenzia il sindacato –; una pratica non adottata in nessun paese dell’Europa occidentale. Si ponga il caso di un reddito imponibile di € 80.000 con una tassa piatta del 23%; in questa maniera si pagherebbe il 23% sia con un reddito di € 28.000 annui, che di € 80.000: una pura ingiustizia“. La Cgil pone invece l’attenzione sull’evasione tributaria e contributiva che, secondo le stime del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ammonta mediamente a 96,3 miliardi nel triennio 2018/2020, principalmente derivanti da evasione IVA e IRPEF d’impresa (mediamente € 58,2 miliardi). “Forse prima che di tassa piatta o condoni, in questo Paese sarebbe ora di parlare di giustizia fiscale; dato che a pagare di più sono sempre dipendenti e pensionati” conclude il sindacato.

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