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la crisi del turismo

Sadegholvaad e Sacchetti: i numeri del Viminale non riflettono la realtà

di Redazione   
Tempo di lettura 10 min
Gio 21 Ago 2025 11:48 ~ ultimo agg. 13:33
Tempo di lettura 10 min

Il turismo cresce del 9,3% eppure spiagge e alberghi sono vuoti. Cosa sta succedendo in questa estate 2025? I numeri sono quelli rilasciati dal Viminale e riguardano l’aumento degli arrivi in Italia rispetto al 2024 nei primi 18 giorni di agosto. Un dato che dovrebbe riflettersi nell’occupazione di brandine in spiaggia e camere negli alberghi. Ma così non è, come denunciato più volte dagli operatori del settore, che leggono questi numeri come influenzati dall’emersione del nero delle case vacanze e dei b&b. Da gennaio, infatti, la riforma degli affitti brevi ha obbligato i proprietari di case destinate al turismo a richiedere il codice identificativo nazionale (cin) e a iscriversi alla banca dati nazionale delle strutture ricettive.

Sulla crisi del turismo, ora, dopo Federalberghi, interviene anche il sindaco di Rimini Jamil Sadegholvaad che ricorda come l’amministrazione cittadina avesse già sollevato mesi fa alcune perplessità davanti alle statistiche ISTAT, differenti da quelli dell’Imposta di soggiorno, a loro volta scostati da quelli rilevati dal Viminale, e di come questa polemica sia la prova provata del fatto che il turismo, nonostante il suo 13/15 per cento di PIL nazionale, non sia considerato come un settore industriale.

Parte dalle stesse considerazioni il primo cittadino di Santarcangelo Filippo Sacchetti che si chiede, viste le incongruenze dei numeri, se si possa considerare l’istat pienamente affidabile, almeno sui numeri provvisori, e che, visti i rischi di fondare il dibattito sul turismo su presupposti statistici parziali, sarebbe più utile ripensare a strumenti di rilevazione più completi capaci di misurare con attendibilità il fenomeno turistico, non concentrandosi solo su arrivi e presenze ma anche e soprattutto su fatturati e occupazione prodotti.

Il messaggio completo del sindaco di Rimini Jamil Sadegholvaad

La polemica di queste ore sui numeri turistici tra Ministero dell’Interno, Governo, opposizioni, associazioni economiche, albergatori e gestori degli stabilimenti balneari del Paese, è la prova provata di un problema molto più grande: il turismo, che garantisce ogni anno il 13/15 per cento del PIL italiano, non è ancora oggi considerato un settore industriale. Ci pensate se il metallurgico, il tessile, l’agricoltura dovessero imbastire politiche e soluzioni sulla base di numeri che non tornano l’uno con l’altro? 
Invece accade al turismo. Nel nostro piccolo, cioè per Rimini, avevamo già sollevato mesi fa alcune perplessità davanti alle statistiche ISTAT, differenti da quelli dell’Imposta di soggiorno, a loro volta scostati da quelli rilevati dal Viminale. La situazione si ripete adesso a livello nazionale, con una polemica politica furibonda in cui al classico conflitto politico tra propaganda e iper critica, si sono aggiunte le voci di albergatori e balneari. Un guazzabuglio da cui emerge ancora una volta la considerazione nei confronti del turismo, non trattato da industria e dunque maneggiato, organizzato e gestito con strumenti industriali, ma come una specie di discussione calcistica (con tutto il rispetto per il calcio) in cui quello che conta è il momento, il commento salace, chi grida più forte. Lo si vede in queste ore, lo si è visto nelle ultime settimane in cui si è scritto e letto di tutto, PRIMA SULL'OVERTOURISM (Rimini compresa), POI dopo pochi giorni è stata decretata la ‘fine del turismo balneare’ in Italia, e poi si è discusso di ‘cambi di modello’ e di ‘alberghi e spiagge vuote’ senza neanche aspettare non dico la fine della stagione ma di analizzare e ponderare bene i numeri a disposizione. C’è da sempre qualcosa di sadico nella rappresentazione in gran parte negativa del turismo italiano e una componente masochistica altrettanto forte, alimentata da chi lo stesso turismo lo fa. Ma il turismo in Italia non merita cattiva pubblicità, cattiva politica, cattiva rappresentazione mediatica, cattivi osservatori statistici. Merita (meriterebbe) di essere trattato con il giusto peso e con il giusto realismo: quello cioè di un’industria che vale il 13/15 per cento del PIL nazionale, che occupa milioni di addetti, che spesso è la cartolina più bella del nostro Paese all’estero.  
Jamil Sadegholvaad


Il messaggio completo del sindaco di Santarcangelo Filippo Sacchetti

La domanda è lecita: le rilevazioni ISTAT sulle presenze turistiche danno… i numeri? 

Parlo da sindaco di un Comune che ha toccato e tocca con mano da tempo tutte le incongruenze che oggi sui principali quotidiani nazionali le associazioni degli albergatori imputano al Viminale parlando senza mezzi termini i di “dati falsati sulle presenze di agosto”. Un comune  in cui la principale fonte economica non è il turismo, ma che comprende che un territorio più appetibile nel suo insieme può essere una grossa opportunità per lo sviluppo della rete del commercio e dei servizi, valide alternative a momenti di crisi sempre più frequenti. 

A Santarcangelo nel 2025 abbiamo investito su un progetto di rinnovo della brand identity che raccogliesse l’idea di una nuova identità turistica, per la prima volta messa a sistema in un progetto di promozione e accoglienza strutturata. Bene, proprio in quei mesi di studio e approfondimento affidati ad agenzie specializzate ci siamo accorti che i dati ISTAT in qualche momento ci davano dei segni “meno” e dei decrementi percentualmente clamorosi solo perché alcune strutture (abbiamo 6 alberghi) non hanno comunicato di essere chiuse temporaneamente. Magari per lavori. O non hanno trasferito a chi di dovere i loro dati. ‘Anomalie’ che in qualche modo aveva già segnalato a inizio anno il sindaco di Rimini Jamil Sadegholvaad quando aveva sottolineato la ‘scomparsa’ di 300 mila pernottamenti tra dati ISTAT e numeri provenienti dall’Imposta di soggiorno, pur formalmente dipendendo entrambi dalla stessa fonte (le strutture ricettive). 
  
Santarcangelo non è una città dal dna turistico, ma una realtà che gode di grandi opportunità date dalla vicinanza con Rimini e dalla propria identità e su questo abbiamo investito e vogliamo continuare a investire con forza. Un apposito studio ci ha consentito di rilevare infatti che nel 2023 ci sono state oltre 40.000 presenze (forse l’apice consentito dall’attuale ricettività e dal non inseguire le masse) e di censire oltre 90 strutture ricettive operative: solo una trentina, qualcuna meno, sono però registrate sui canali ufficiali di rilevazione. Un combinato disposto per cui nella prima metà del 2025 Istat registrava una flessione del 20%, attenuatasi con la fine primavera e l’inizio estate, quando le strutture sono tornate non a caso tutte operative: maggio e giugno hanno fatto infatti segnare un incremento anche importante e luglio si è rivelato in linea con quello 2024, quando ad esempio la Pro Loco ha registrato un +25% di accessi alle grotte rispetto a dodici mesi prima. 

E dunque è più che lecita la domanda iniziale: l’Istat è pienamente affidabile, almeno sui numeri provvisori?  

Sulla base di questa considerazione, è conseguente un’altra domanda: il dibattito su alberghi e spiagge vuote in Romagna così come nel resto d’Italia si fonda su presupposti statistici esatti o parziali?  Un mix tra fonti statistiche non più centrate, speculazione mediatica sui social e un sentimento masochista di un comparto poco unito se non per propri singoli interessi? 

Lascio sospese le domande e preferisco concentrami sulla concretezza. Non sarebbe più logico e utile ripensare a strumenti di rilevazione più completi capaci di misurare con attendibilità un fenomeno così complesso come il turismo, che non dipende ‘solo’ dal numero di arrivi e presenza ma ‘anche e soprattutto’ dai fatturati e dall’occupazione prodotti? Perché non si misura mai il fenomeno dell’escursionismo, ad esempio, superiore a quello ricettivo visto che sono milioni sul territorio della provincia di Rimini gli ospiti e i visitatori che visitano i musei, vanno nelle nostre spiagge, salgono sulle nostre colline e poi se ne tornano a casa la sera senza soggiornare in hotel?  

E analisi precise alimentano dibattiti seri. Perché non è serio, a mio avviso, ogni anno ripartire con ‘dobbiamo cambiare il modello’ o ‘dobbiamo rifare tutto’. Lo scorso anno erano le alghe e la fuga in Albania. Quest’anno il problema sono i prezzi. Troppo alti?  Ma se fino a poco  fa dicevamo e speravamo nell’arrivo di turisti più alto spendenti per poter qualificare l’offerta Ricordiamo tutte le lamentele e le macumbe contro il turismo del cartoccio, i saccopelisti, il carnaio scarso spendente. 

Oggi, dopo 30 anni e centinaia di milioni di euro investiti nelle strutture della destagionalizzazione, nella connessione tra costa ed entroterra, in un turismo meno caotico e concentrato solo nei tre mesi estivi, siamo qui ad affermare l’esatto contrario? Ma che serietà di analisi è questa? Sino all’altro ieri ci siamo detti che bisognava riportare gli stranieri e quest’anno dietrofront, via gli stranieri e bisogna catturare gli italiani?  Non è meglio affermare una volta per tutte che la vacanza riminese è la vera vacanza per tutti, quella imbattibile per il rapporto qualità/prezzo, la vacanza per quel che resta della classe media italiana, proprio quella che fatica a permettersela, e se noi pensassimo di abbandonarla daremmo davvero un cattivo esempio per i nostri valori? 
  
Ora come non mai Rimini è la che accoglie senza discriminare, che apre le braccia e per questo rimane in vetta tra le località turistiche del Paese. Orgogliosa e abituata a organizzare e gestire altissimi flussi di visitatori, là dove altri concorrenti non sanno neanche dove iniziare. E visto che tutte queste strutture non resisteranno nel tempo, gli investimenti in infrastrutture come Trc, aeroporto e parcheggi sono sempre più strategici. Non abbiamo bisogno di statistiche datate, ma di appeal e attrattiva economica, attività capaci di remunerare (bene) il lavoro e investire nella riqualificazione. Perché chi non investe resta fuori dal mercato. 
  
Ultima considerazione: le casse pubbliche, quelle dei Comuni in particolare, non sono più in grado di sostenere spese folli a favore del turismo e non devono mirare a chiedere contributi solo per creare eventi. In Riviera come nelle aree interne. 
  
Serve altro, servono ragionamenti d’insieme e investimenti infrastrutturali per creare l’attrattiva e le condizioni per far pernottare più giorni i turisti anche lontano dalle strutture della costa. Bisogna andare oltre al concetto di escursionismo puro e semplice, che va comunque rilanciato con modelli come era un tempo Collinea, il sistema di corse di servizio pubblico quotidiane dalla costa agli entroterra. Bisogna esplorare nuove rotte, che a Santarcangelo stiamo ricercando nell’ampliamento della ricettività al di fuori del centro storico, nelle aree agricole, con nuovi modelli come glamping, agricampeggi e una rete di agriturismi. 
  
Chi dice che un modello è finito non solo dice una banalità peraltro reiterata (lo hanno detto in 30 anni per le mucillagini, per la crisi della notte e delle discoteche, per la crisi economica, per la concorrenza dell’Albania o della Grecia o della Spagna o del Nordafrica) ma non sposta di un millimetro l’utilità del dibattito. Di certo l'offerta va arricchita integrando veramente la costa in un sistema territoriale  in Romagna ricchissimo. Altroché analisi fondate su numeri statistici che non si sa mai bene se sono corretti o distorti.

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