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festa del 25 aprile

Liberazione, il sindaco Sacchetti cita i versi di Nino Pedretti

In foto: La festa del 25 aprile a Santarcangelo
La festa del 25 aprile a Santarcangelo
di Redazione   
Tempo di lettura 9 min
Ven 25 Apr 2025 16:00 ~ ultimo agg. 16:23
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Questa mattina si sono svolte le celebrazioni istituzionali di Santarcangelo per l’80° anniversario della Liberazione nazionale dal nazifascismo, con ampia partecipazione di pubblico, alla presenza delle autorità civili e militari, con l’accompagnamento della banda musicale cittadina “Serino Giorgetti”.

Questo il discorso del sindaco Filippo Sacchetti, che in apertura ha citato i verso di Nino Pedretti, ricordando come Santarcangelo è stato ed è una "città resistente". Questo il suo discorso integrale.

"Il paese era minuscolo | raggrinzito | come un bambino in fasce; | tremava tutto | si sgretolava, | e mandava una polvere di mattoni | un fumo di morte. | A ogni colpo il cannone | spegneva una candela | nelle stanze. | I tedeschi come lupi | inseguivano la gente | e Arrigo col carretto | i capelli bianchi di paura | urlava nella fuga: | «M'ammazzano». | La guerra non è la morte | nel tuo letto, è la benzina | che brucia le gambe | ai ragazzini, è un foro nella pancia | che ti fa mangiare la terra | come il gatto prima della morte. | La guerra è il cuore che si fa acqua fradicia | perché hai fatto dei nomi alla Ghestapo. | La guerra è quel morto | di cui porti la maglia | sono i capelli che piovono pidocchi | il sangue che cachi | nei colpi della tosse. | La guerra è quel mal di denti che ti batte nel cervello | il freddo sotto la pelle. | La guerra sono gli alberi | così belli, | il cielo che è così grande il fiume che va come una vela. | E tu, accecato e storpio | che devi morire2.

Ecco cos’è la guerra. I versi di Nino Pedretti, così terribili, colpiscono come un pungo nello stomaco. E così deve essere, perché davvero la guerra è quanto di peggio l’essere umano sia riuscito a inventare nella sua storia. Oggi ci ritroviamo per celebrare l’80° anniversario della Liberazione dell’Italia dalla morsa del nazifascismo e la fine di una guerra atroce, che in cinque anni ebbe un costo altissimo di vite umane e distruzione per il nostro Paese.

Ma il 25 luglio 1943, con un’accelerazione che divenne trauma a partire dal successivo 8 settembre, cominciò un’altra guerra: quella per la Liberazione appunto, che vide l’ampio fronte antifascista e gli eserciti alleati fronteggiare le armate del Terzo Reich e i fascisti della Repubblica di Salò. Oggi vorrei ricordare quanto fosse composito il fronte antifascista, quanto la popolazione italiana abbia scelto di sollevarsi in un moto che ha davvero rappresentato il riscatto morale dell’Italia di fronte a sé stessa e al mondo.

Tra le prime forme di Resistenza armata vanno ricordate quelle dei militari italiani all’estero, che si ritrovarono senza guida né riferimenti all’indomani dell’8 settembre: di fronte alla richiesta di resa incondizionata da parte dei nazisti molti si ribellarono, andando incontro a conseguenze spesso tragiche.

Chi ricorda oggi i Caduti di Cefalonia, fucilati a migliaia dopo aver rifiutato la resa e aver combattuto in armi l’ex alleato e ora nemico? Chi ricorda gli Internati Militari Italiani, oltre 600mila soldati deportati nei campi di lavoro del Reich per aver rifiutato di unirsi all’esercito della Repubblica di Salò?

Anche Santarcangelo è parte di questa storia mondiale: dopo l’armistizio, in Albania c’era tra gli altri il santarcangiolese Werter Paesini, che insieme a numerosi commilitoni si unì ai partigiani albanesi per combattere nella Resistenza locale. A Werter vorrei che dedicassimo un grande applauso.

Il Paese intero, o quanto meno una grande parte, combatté per la libertà e per vedere la fine della guerra. Ma anche guidato da un’implacabile sete di giustizia sociale che il fascismo aveva alimentato con vent’anni di spietata dittatura. E anche, forse soprattutto, per la propria dignità. La dignità di un popolo e di singoli cittadini, portatori di diritti umani inalienabili ai quali la Costituzione Repubblicana, nata dalla Resistenza, avrebbe finalmente dato risposte.

E Santarcangelo? Cosa succedeva in quel paese “minuscolo e raggrinzito” evocato dai versi di Pedretti che abbiamo letto poco fa? Più o meno tutto quello, in piccolo, che stava succedendo nel resto d’Italia.Santarcangeloè stata, è e saràantifascista. L’ho detto il giorno del mio insediamento, l’ho ripetuto in altre occasioni e me lo sentirete dire parecchio nei prossimi anni, perché questa è la nostra storia. È la nostra cultura.

Di più: Santarcangelo è una città resistente. Questo titolo, scelto felicemente da Andrea Santangelo per la presentazione della sua ricerca storica sulla Resistenza e i deportati santarcangiolesi in programma mercoledì sera in biblioteca, sintetizza meglio di altri il nostro dna sociale e politico. Abbiamo sentito prima Pedretti, ma la nostra storia è piena di antifascisti e partigiani che diventano artisti e poeti, protagonisti di una ricostruzione morale e intellettuale che dovette fare a meno di chi, come Rino Molari, venne ucciso con la volontà precisa di azzerare la futura classe dirigente antifascista.

Ci hanno provato, ma non ci sono riusciti. Tonino Guerra tornò dalla prigionia, dov’era finito per la sua attività di propaganda antifascista, con un bagaglio di poesie straordinarie che resteranno per sempre a disposizione delle generazioni future per capire cosa significa perdere la propria libertà. Come possiamo poi non citare Gianni Fucci, che da giovanissimo patriota ci ha lasciato una testimonianza inestimabile, il libro “La notte delle bandierine rosse” scritto insieme a Serino Baldazzi, al quale s’ispira non solo la ricerca storica di Andrea Santangelo, ma anche lo spettacolo di Teatro Patalò che invito tutti a vedere questa sera al Lavatoio.

Santarcangelo è così, siamo abituati ad andare “in direzione ostinata e contraria” come avrebbe detto il grande Fabrizio De André. Del resto, facciamo la città slow mentre tutti corrono, e siamo ormai rimasti tra i pochi a parlare di pace quando tutti vogliono o preparano la guerra. Nella celebre canzone “La guerra di Piero”, De André traccia con poche pennellate un ritratto della guerra con pochi eguali: perché in fin dei conti la guerra si riduce a questo, uccidere o essere uccisi.

I partigiani non hanno avuto scelta, perché la guerra era già su di loro: l’unica, fondamentale scelta che hanno avuto è stata la parte dalla quale schierarsi, e per nostra fortuna hanno scelto di combattere dalla parte giusta della Storia. Noi, nel nostro piccolo, abbiamo la possibilità di scegliere la pace e dobbiamo riconfermare continuamente la nostra scelta, non solo per il nostro bene e per quello delle future generazioni, ma anche come riconoscimento a quei partigiani, che oltre a combattere il fascismo lottavano per la fine della guerra.

Questi 80 anni dalla Liberazione sono un periodo di pace inedito nella storia europea, otto decenni che hanno garantito le premesse per lo sviluppo di una nuova civiltà, dal manifesto di Ventotene ai padri costituenti fino alla generazione Ryanair, che viaggia libera, senza confini e senza frontiere. Persone che oggi come non mai riescono a dirsi concittadini, uniti nelle istituzioni ma anche nelle abitudini della vita quotidiana. E questo è stato possibile perché l'Europa ha saputo garantirci la pace.

E se quella pace è stata figlia di una lotta di resistenza e libertà, allora non capisco perché non si possa affermare che alla stessa pace, a volte, serve una lotta di resistenza per potersi affermare.

Scriveva ieri Gentiloni su Repubblica che dalla resistenza nasce anche il principio del nostro orgoglio repubblicano. Una forma di patriottismo democratico che dovremmo affermare in modo trasversale, in difesa assoluta e inviolabile della vera figlia di quella liberazione, che è la Costituzione italiana. È chiaro che parlare da qui, da questo paese, durante una ricorrenza non può fare altro che innescare una riflessione, così com’è facile predicare la pace quando in pace si vive.

Ma la pace è un verbo, si deve fare. Lo abbiamo affermato anche con il premio alla pace dato a Roberto Scaini da parte di Educaid proprio a dicembre, qui a Santarcangelo. Noi da qui lo diciamo con forza, serve essere pronti a una nuova lotta di resistenza. La nostra in questo pezzo di mondo, oggi, può permettersi di essere una resistenza civile, politica, sociale e culturale, certamente non violenta.

Una resistenza che trovi nella diplomazia la strada di risoluzione delle controversie, che si riconosca in quei contrappesi del mondo che sono in condizione di mediare anche i grandi interessi e i grandi rancori. Pochi giorni fa se n’è andato un costruttore di ponti, un instancabile alfiere della pace come Papa Francesco, a cui tutti noi dovremmo essere grati al di là delle convinzioni religiose di ciascuno.

Ma se invece oggi guardiamo a quel pezzo di mondo a cui abbiamo fatto riferimento come sostenitori della Liberazione, a quel Patto Atlantico che ha garantito pace ed equilibrio, lo sguardo si sconforta. Il presidente degli Stati Uniti che bullizza il presidente ucraino o specula sui possibili futuri resort a Gaza è indegno, un disgustoso provocatore che si comporta da forte coi deboli e da debole con i dominatori dei propri interessi.

E invece proprio a loro dobbiamo chiedere a gran voce il disinnesco delle violenze, da un’Europa coesa che oltre al riarmo si occupi di azione diplomatica. In Ucraina dove si attaccano le messe durante la Domenica delle Palme, o a Gaza, dove oggi è ancora in corso un genocidio, un massacro innocente di persone, come noi, che non hanno le colpe del fondamentalismo. E noi facciamo fatica a scendere in piazza, disillusi ormai che qualcosa possa far cambiare idea a chi ha scelto di attaccare un altro popolo o reprimere le proteste all'interno del suo Paese, usando la violenza come strumento di consenso.

Se questi 80 anni hanno avuto un senso, il senso non è solo nella profondità della memoria, ma anche nello slancio del futuro, per cui ognuno di noi dovrebbe sentire quella tensione alla Resistenza, nella maggiore consapevolezza del privilegio del vivere in pace. A questo serve essere qui, essere insieme in un corteo, a sentirsi comunità. A questo servono gli sforzi dei nostri nonni, dei loro racconti insanguinati e sempre con gli occhi pieni di lacrime. A questo serve il passato, perché faccia di noi persone coscienti utili a un futuro migliore.

Io credo che Santarcangelo, su questo, una sua parte la possa fare. Grazie a tutte e a tutti. Viva la Resistenza e viva la Liberazione.

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