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Disposizioni Anticipate Trattamento: le riflessioni della Commissione Bioetica

di Redazione   
Tempo di lettura 11 min
Ven 29 Gen 2010 18:14
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tema tornato alla ribalta dopo la recente approvazione in Consiglio Comunale a Rimini di una mozione che promuove l’istituzione di un registro per i testamenti biologici.

Le riflessioni della Commissione:

Disposizioni Anticipate di Trattamento:
una riflessione alla luce della Scienza e del Magistero

Il contesto politico

Giovedì 21 gennaio 2010, il Consiglio Comunale di Rimini ha deliberato una proposta, presentata dal consigliere Fabio Pazzaglia, che impegna Sindaco e Giunta ad istituire un registro comunale di raccolta dei “testamenti biologici” eventualmente sottoscritti dai cittadini del Comune.

Non è un’iniziativa isolata e puramente locale quella approdata sui banchi riminesi, e prima ancora nel Consiglio comunale di Santarcangelo. È indispensabile essere consapevoli che è in atto in tutta Italia una vera e propria campagna per introdurre nel maggior numero possibile di enti locali uno strumento assai discutibile, nella forma e nella sostanza. Sono infatti atti amministrativi che vorrebbero incidere su diritti e circostanze delicate inerenti la vita umana, rispetto ai quali un provvedimento varato dal Parlamento, peraltro in fase di discussione, non solo è unicamente competente, ma offre le opportune garanzie di democraticità e pluralismo. Le delibere per istituire i registri sono quindi viziate da incompetenza assoluta, e restano prive di vere conseguenze giuridiche[1]

Chi sono i promotori di questa campagna nazionale? “Non può sfuggire ai più che questo è il caratteristico modus operandi adottato dai radicali e da tutta la galassia di associazioni nate dal loro tronco o che alla Rosa nel pugno guardano come a un faro ideologico e organizzativo. È proprio uno degli organismi-satellite più combattivi – l’Associazione Luca Coscioni, guidata dallo stato maggiore del partito – a tenere aggiornata sul proprio sito Internet la mappa dei consigli comunali e provinciali che hanno già compiuto il passo appena concluso a palazzo Garampi: ben 68 bandierine stanno a segnalare i luoghi dove un dibattito analogo a quello riminese si è già consumato dando luogo a un atto amministrativo palesemente superfluo” [2] ma strumentale ad una ben precisa strategia: trasformare il “Testamento Biologico” in strumento giuridico per l’introduzione dell’idea che il soddisfacimento delle istanze suicidarie ed autodistruttive avanzate dal soggetto malato cosciente con la sospensione di nutrizione ed idratazione, sia un nuovo e moderno “diritto umano”, che tutela l’unico valore veramente importante, l’autonomia e l’autodeterminazione assoluta dell’individuo.

Il fatto che consiglieri di maggioranza abbiano votato contro la mozione, mentre alcuni consiglieri dell’opposizione abbiano votato a favore, indica con chiarezza come su questi temi di confine le posizioni non siano dettate da considerazioni primariamente politico-partitiche, ma dall’adesione a specifiche visioni dell’uomo, del suo significato e del suo destino.

Scopo del documento

Queste note introduttive forniscono lo sfondo di attualità politica locale che ci hanno spinto a fornire qualche nota di riflessione sulla complessa e controversa tematica relativa alle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), riaccesa nel nostro paese nel corso delle drammatiche vicende di cui fu protagonista inconsapevole Eluana Englaro. Dar conto in poche righe di un dibattito ormai trentennale, ricco di sfumature ed aspetti difficilmente percepibili dai non addetti ai lavori, è impresa semplicemente impossibile. Fornire però alcuni criteri di valutazione e condividere alcune riflessioni per contribuire in modo costruttivo a questa discussione ci è parso utile e doveroso.

Alcune definizioni e note di carattere storico

Le direttive anticipate di trattamento (DAT), anche denominate “testamento biologico” o “testamento di vita” (dall’inglese living will), sono documenti che hanno lo scopo di raccogliere le preferenze di trattamento di un soggetto e/o delegare ad un’altra persona (decisore surrogato) la facoltà di prendere le decisioni mediche, quando il soggetto sia privo della capacità di intendere e di volere. Per essere più precisi, mentre la dizione “direttive anticipate” indica una categoria generale di documenti contenenti le preferenze dei pazienti circa interventi medici che non necessariamente attengono alla fase terminale e che non implicano sempre una volontà eutanasica (per questo, ed allo scopo di sottolinearne la non vincolatività per il medico, il Comitato Nazionale per la Bioetica l’ha fatta propria nel 2003)[3], i “testamenti biologici” sono più spesso attinenti alle fasi di terminalità e più marcatamente connotati da esplicite richieste di non somministrazione di supporto vitale (cioè alimentazione ed idratazione), con chiaro o implicito intento eutanasico.[4]

Introdotte negli Stati Uniti alla fine degli anni ’60 allo scopo di assicurare il “rispetto dell’autonomia” dei pazienti anche nel caso di incapacità decisionale, l’uso delle DAT è stato regolamentato per legge inizialmente in California (Natural death act, 1976) e, successivamente, in altri Stati americani, fino all’approvazione della legge federale del Patient-Self-Determination Act nel 1990, legge che ha imposto a tutte le strutture sanitarie americane che ricevono fondi pubblici di fornire informazioni sulla compilazione delle DAT e di sollecitarne l’impiego clinico. Anche alcuni paesi europei hanno iniziato a predisporre normative che consentano l’impiego delle DAT.[5]

Storicamente questi documenti sono stati concepiti non tanto come strumento di protezione dei pazienti da condotte mediche non proporzionate al caso clinico, quanto come rivendicazione del primato dell’autodeterminazione del soggetto, anche nel caso in cui divenisse incompetente. Solo a titolo esemplificativo, nel 1967 il primo Living Will, che fu presentato da Luis Kutner per conto della Eutanasia Society of America (oggi Society for the right to die), recita “… Se dovesse presentarsi la situazione in cui non c’è ragionevole aspettativa che io guarisca da una disabilità fisica o mentale, io richiedo che mi sia concesso di morire e non essere mantenuto in vita con mezzi artificiali o misure eroiche. Non ho paura della morte di per sé quanto delle offese del deperimento, della dipendenza e del dolore senza speranza.”[6]

Valori e limiti delle DAT

Nonostante siano sorte nell’alveo di una cultura ed una visione decisamente lontane dall’antropologia cristiana, dobbiamo però riconoscere che molte delle istanze e degli scopi per cui le DAT si sono affermate, sono certamente giuste e condivisibili.

Senza dubbio la medicina contemporanea ha presentato, accanto ad innegabili e positive conquiste dovute all’approfondirsi delle conoscenze ed all’applicazione di tecnologie sempre più sofisticate, derive tecniciste e spersonalizzanti, in cui è venuto meno il rispetto e il riconoscimento della specifica dignità personale dell’uomo malato. Questi “vuole essere guardato con benevolenza, non solo esaminato; vuole essere ascoltato, non solo sottoposto a diagnosi sofisticate; vuole percepire con sicurezza di essere nella mente e nel cuore del medico che lo cura”[7], condizioni difficilmente realizzabili “se affidato a una medicina altamente tecnologizzata, ma priva di una sufficiente vibrazione umana”[8] <#_ftn8> .

Nel giusto tentativo di umanizzare la medicina riconducendola nell’alveo di quell’alleanza terapeutica che esprime in campo sanitario “un’originaria relazione di prossimità tra gli uomini” [9] – in cui la persona malata ed il medico sono coinvolti, con pari dignità nella diversità di ruolo, in una serie di atti di profonda rilevanza morale – in molti sostengono che l’introduzione delle DAT può svolgere un ruolo positivo, avvicinando il più possibile le future cure alla volontà del malato; riducendo il rischio di trattamenti in difetto o in eccesso; riducendo il peso emotivo di decisioni controverse che altrimenti graverebbero sui familiari; prevenendo conflitti decisionali fra i familiari e/o fra questi ed i curanti; costituendo un valido complemento del consenso informato nell’ambito di una corretta prosecuzione della relazione con i curanti, quando il paziente non sarà più in grado di manifestare le sue volontà.[10]

Le ottimistiche previsioni dei sostenitori delle DAT non reggono però alla verifica sul campo della loro effettiva efficacia. Un gran numero di analisi delle esperienze Statunitensi ed Europee[11] hanno impietosamente documentato il sostanziale fallimento delle DAT nel promuovere l’autonomia del paziente, e questo non solo per la cattiva applicazione di un valido strumento, ma per l’intrinseca debolezza concettuale dello strumento stesso, che parte da presupposti fondativi (1. I desideri dei pazienti sono stabili nel tempo; 2. I pazienti sono in grado di trasferire i loro desideri nelle DAT; 3. I fiduciari sono in grado di interpretare correttamente i desideri dei pazienti, 4. I pazienti desiderano che la condotta dei medici segua pedissequamente le indicazioni contenute nelle DAT, 5. I medici sono in grado di modificare la condotta usuale in ossequio alle DAT)[12] smentiti dalla realtà clinica. E questo spiega perché solo dal 4 al 25% dei pazienti, a seconda delle statistiche, compili DAT negli Stati Uniti.[13]

Conclusioni

L’importazione in Italia di orientamenti e norme nati in altri paesi ed in altri contesti culturali, dovrebbe avvenire facendo tesoro dell’esperienza altrui e dei dati empirici che emergono dalla realtà, avendo il coraggio di distinguere con chiarezza i fatti dalle opinioni, per trarne le dovute conseguenze.[14]

Quand’anche le DAT possano, depurate dalle suggestioni pro-eutanasiche che le hanno storicamente generate, costituire uno strumento utile ad approfondire e rafforzare una valida relazione medico-paziente, bisogna riconoscerne l’obsolescenza e la limitata efficacia, in rapporto alle attese esagerate suscitate nel dibattito pubblico in corso.

Nel discorso tenuto ai partecipanti del 110° congresso nazionale della Società Italiana di Chirurgia dell’ottobre 2008, papa Benedetto XVI, sono indicati quei criteri che ci sembra debbano guidare chi volesse con prudenza accostarsi a questa complessa materia, per trovare soluzioni giuridiche equilibrate e all’altezza dei valori in gioco. Scrive infatti il Santo Padre:“… Resta vero, invece, che, se anche la guarigione non è più prospettabile, si può ancora fare molto per il malato: se ne può alleviare la sofferenza, soprattutto lo si può accompagnare nel suo cammino, migliorandone in quanto possibile la qualità di vita. Non è cosa da sottovalutare, perché ogni singolo paziente, anche quello inguaribile, porta con sé un valore incondizionato, una dignità da onorare, che costituisce il fondamento ineludibile di ogni agire medico. Il rispetto della dignità umana, infatti, esige il rispetto incondizionato di ogni singolo essere umano, nato o non nato, sano o malato, in qualunque condizione esso si trovi” E ancora “…L’insistenza con cui oggi si pone in risalto l’autonomia individuale del paziente deve essere orientata a promuovere un approccio al malato che giustamente lo consideri non antagonista, ma collaboratore attivo e responsabile del trattamento terapeutico. Bisogna guardare con sospetto qualsiasi tentativo di intromissione dall’esterno in questo delicato rapporto medico-paziente. Da una parte, è innegabile che si debba rispettare l’autodeterminazione del paziente, senza dimenticare però che l’esaltazione individualistica dell’autonomia finisce per portare ad una lettura non realistica, e certamente impoverita, della realtà umana. Dall’altra, la responsabilità professionale del medico deve portarlo a proporre un trattamento che miri al vero bene del paziente, nella consapevolezza che la sua specifica competenza lo mette in grado in genere di valutare la situazione meglio che non il paziente stesso.”

Commissione Diocesana di Bioetica

Rimini lì 29/01/2009

[1] Francesco D’Agostino “Provocazione senza diritto” il Ponte 31 gennaio 2010 Anno XXXV- n. 8.
[2] Francesco Ognibene, Bologna-Sette (Avvenire) domenica 24 gennaio.
[3] Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) “Dichiarazioni anticipate di trattamento” (18/12/2003). Roma: Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria; 2003
[4] R. Puccetti-M.C. Del Poggetto-V. Costigliola-M.L. Di Pietro “Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (DAT): revisione della letteratura” Medicina e Morale 3 (2009) 439-459
[5] N. Comoretto A.G.Spagnolo “Direttive anticipate di trattamento e decisori surrogati: accuratezza nella predizione delle preferenze del paziente” in Medicina e Morale 3 (2009).
[6] Kutner L. “Due process of eutanasia: the living will, a proposal” Indiana Law J. 1969; 44: 539-554.
[7] Benedetto XVI discorso tenuto ai partecipanti del 110° congresso nazionale della Società Italiana di Chirurgia, 22/10/2008
[8] Benedetto XVI discorso tenuto ai partecipanti del 110° congresso nazionale della Società Italiana di Chirurgia, 22/10/2008
[9] P. Cattorini, La morte offesa – Espropriazione del morire ed etica della resistenza al male, EDB 1996
[10] Società Italiana di Cure Palliative. “Documento sulle direttive anticipate. Elaborato dal Gruppo di Studio su Cultura Ed Etica al Termine della Vita”(9/11/2006) in www.sicp.it/documenti­_sicp/Direttive­_Anticipate.pdf).
[11] A. Faerlin-CE Schneider, Enough: the failure of the living will, Hasting Center Report 2004; 13: 30-42 H.S. Perkins “Controlling death: the false promise of advance directives” Ann Intern Med. 2007; 147: 51-57 Im Barrio-Cantalejo A. Molina-Ruiz P Simon-Lorda et Al. “Advance directives and proxies’ prediction about patients’ treatment preferences” Nursing Ethics 2009; 16 (I): 93-109 Tr. Fried J. O’ Leary P Van Ness et Al. “Inconsistency over time in preferences of older persons with advanced illness for life-sustaining treatment” J Am Geriatr Soc. 2007; 55: 1007-1014 R. Puccetti M.C. Del Poggetto V. Costigliola M.L. Di Pietro “Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (DAT): revisione della letteratura”, Medicina e Morale 3 (2009) 439-459
[12] R. Puccetti M.C. Del Poggetto V. Costigliola M.L. Di Pietro “Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (DAT): revisione della letteratura” Medicina e Morale 3 (2009) 439-459.
[13] H.S. Perkins “Controlling death: the false promise of advance directives” Ann Intern Med. 2007; 147:51-57.
[14] A. Fiori “I medici ed il testamento biologico” Medicina e Morale 4 (2007) 683-690.

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