
Istrionico, ironico, generoso. Con il suo spiccato accento bergamasco e la sua intensa esperienza umana e professionale, Johnny Dotti è stato il protagonista della terza serata, lo scorso 13 dicembre, organizzata in questo anno accademico dal gruppo Pardēs dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A.Marvelli” delle Diocesi di Rimini e di San Marino-Montefeltro.
Pedagogista, docente universitario e imprenditore sociale, è anche autore di diversi libri tra cui “Educare è roba seria”, “La vita dentro la morte” e un recente volume dedicato alla figura di San Giuseppe: “Giuseppe siamo noi”. Non solo: è sposato con Monica e ha quattro figli. Vive da oltre trent’anni un’esperienza di vita comunitaria insieme ad altre famiglie.
Insomma, davvero la biografia più adatta per parlare al pubblico presente di #legami.
Professore, perché è importante oggi parlare di legami?
Nel 2023 può sembrare un paradosso, ma in realtà non è affatto così scontato. La recente vicenda pandemica ci ha fatto sentire ancora più forte la nostalgia del legame. È apparso in modo evidente che l’uomo è legame. Se ci pensate in mezzo alla pancia abbiamo l’ombelico: è il segno evidente che veniamo da qualcun altro, che siamo legati agli altri. La ferita è segno di relazione. In questi anni, invece, abbiamo sempre più evidenziato il nostro essere individui. Noi abbiamo una nostra unicità, è vero, ma non siamo individui, siamo persone.
Che cosa dice, questo, al nostro vivere in relazione?
È follia parlare di diritti o libertà individuali: c’è sempre un’obbligazione verso l’altro. Gli stessi pronomi personali sono singolari e plurali, per cui essere persona è essere sia singolare che plurale.
“Io” e “noi” sono i pronomi più problematici. Noi siamo un intreccio di tutti e sei i pronomi, è in questa coesistenza che risiede il mistero e l’arte della vita.
Lo stesso Dio è uno e trino, mai solo uno. E noi siamo fatti a Sua immagine.
Il matrimonio e tutte le relazioni sono un lungo pellegrinaggio dall’io al tu.
Non è un caso che simbolo delle nozze sia un anello: l’anello, infatti, è vuoto al suo interno, altrimenti non potremmo indossarlo.
Io porto dell’altro il vuoto, il niente, la fragilità. E questo è sacro. Veniamo continuamente al mondo attraverso l’altro, attraverso un legame che ci libera.
L’“io” pensa di essere come Dio, il “tu” sa di essere figlio.
Perché questo oggi è così difficile e problematico da vivere?
Siamo una società in cui vale quel che funziona. Ma questo per l’uomo è problematico. Noi dobbiamo spostare l’attenzione e il valore sul senso, non sul funzionamento.
Questo è il grande problema anche della politica e della Chiesa. Oggi è troppo forte la spinta alla competizione, all’uccisione dell’altro. È una deriva psichiatrica e nichilista.
Siamo una civiltà ricca e isolata.
Abbiamo dimenticato che noi siamo mancanza d’essere, paradosso, viviamo tra Terra e Cielo.
Dobbiamo invece riscoprire doti di empatia e fiducia.
La speranza non è nel futuro – che, oggi, è completamente colonizzato dalla tecnocrazia – ma nell’invisibile.
L’eternità è già nel qui e ora.
Oggi mancano adulti entusiasti. I ragazzi hanno estremo bisogno di adulti così.
San Giuseppe, in questo, è un simbolo molto popolare e potente. Un uomo giusto che accetta il “tradimento” di Maria per diventare padre. Decide di accogliere Maria con sé, e non per sé. Ci indica il rapporto che deve esistere tra amore e legge: l’amore supera sempre il potere civile.
Con queste suggestioni il gruppo Pardēs si prende una breve pausa, per poi ritornare con la quarta tappa di questo percorso mercoledì 7 febbraio 2024. Il prossimo ospite sarà Eraldo Affinati, scrittore e fondatore della scuola di italiano per stranieri Penny Wirton. Con lui si parlerà di #sguardi. Per maggiori info: info.iosonolaltro@gmail.com – tel. 0541 751367.