Movida violenta, baby gang, città pericolose. La riflessione


Esulando dalle diatribe, tra i sostenitori dei reati in aumento e quelli dei reati in calo, il problema evidenziato nel titolo esiste, ed i fattori sono molteplici, ne evidenzio tre, inquadrabili tra i fondamentali: disagio sociale, mancata integrazione, carenza di educazione.
Il primo fattore. L’esponenziale aumento delle diseguaglianze porta frustrazione e disagio. Un numero sempre maggiore di giovani è affetto da problematiche di tipo psicologico. Tra i motivi, un posto di rilievo lo assume l’enfatizzarsi delle diseguaglianze economiche, anche rispetto ad un recente passato. Precariato selvaggio, salari da fame, impossibilità di pagare un affitto o accedere ad un mutuo, con l’unica speranza di ricevere una casa in eredità. Di converso, i figli di quelli che sono al vertice della piramide, “ricevono tutto senza fare nulla”, non di rado, anche l’arroganza dell’opulenza. Ormai è tutto acquistabile, anche ciò che dovrebbe essere di pertinenza comune e proprietà dello Stato, dall’istruzione alla sanità. Una società marcatamente diseguale, porta inevitabilmente al disagio, che troppo spesso, sfoga nella brutalità della violenza.
Il secondo fattore. La mancata integrazione. Si ricollega al primo punto, ma è più specifico. Oltre alle diseguaglianze, in questi casi esiste una chiusura all’integrazione sociale, una ghettizzazione subdola, seppure pateticamente conclamata al contrario. Parliamo d’integrazione, ma non di rado, ipocritamente, accettiamo volentieri coloro che sono disposti a svolgere lavori che noi non vogliamo più fare, una sorta di “schiavismo” dell’era moderna, utile per coprire posti di lavoro con stipendi che permettono a mala pena di sopravvivere, che richiedono elevata fatica fisica e rischi connessi assai significativi. Ancora peggio, in troppi casi, non siamo in grado di offrire neppure un lavoro estremamente povero. Con questi presupposti, l’integrazione è pressoché un miraggio, la spirale senza uscita porta alla ghettizzazione, ed un gruppo emarginato ed indigente, che “non ha nulla da perdere”, è ovviamente assimilabile ad un rischio di pericolosità sociale elevato.
Il terzo fattore. La carenza parziale o assoluta, soprattutto, ma non solo, dell’educazione familiare. Tale problematica è in esponenziale aumento, causa la disconoscenza delle regole sociali, l’inadeguatezza dei comportamenti, il disvalore del rispetto degli altri, l’idea d’impunità come sistema per emergere, l’assenza di valori, la colpevolizzazione degli “altri” per ogni evento negativo, la carenza assoluta di educazione civica. Questo terzo punto è trasversale, riguarda cioè ogni “ceto”.
Estremamente complesso indicare soluzioni, salvo cercare di arginare i reati con la corretta repressione, peraltro necessaria, soprattutto per consentire ai cittadini incolpevoli di operare, riposarsi, vivere. Purtroppo però, non è certo con la repressione che si risolvono questi problemi, ormai endemici ed in fase di acutizzazione in ogni zona del Paese. Del resto, per migliorare l’equità sociale e
garantire una corretta educazione, servono ideali e valori nei quali credere.
Carlo Alberto Pari
Criminologo – Giornalista