Ucciso per un debito, ergastolo per due dei quattro imputati

Due ergastoli e altre due condanne a 22 anni e 22 anni e 8 mesi. Si è concluso con pene severissime il processo in Corte d’Assise a Rimini per l’omicidio volontario di Antonino Di Dato, 45enne campano legato in passato alla camorra, morto il 12 novembre del 2021, dopo nove giorni di agonia, all’ospedale Bufalini di Cesena, a causa del brutale pestaggio avvenuto all’interno dell’hotel Emanuela di Bellariva, per un presunto debito – stando alla ricostruzione della Squadra Mobile di Rimini – di 7.500 euro.
La Corte, presieduta dalla giudice Fiorella Casadei, ha aderito alla richieste avanzate dal pubblico ministero Paolo Gengarelli, inasprendo addirittura le pene per due dei quattro imputati. Ergastolo per il latitante Asim Samardzic, 47enne bosniaco additato da alcuni testimoni come il picchiatore più accanto, difeso dall’avvocato Stefano Caroli, e per Ivan Dumbovic, croato di 44 anni, difeso dall’avvocato Antonio Pelusi. Condanne a 22 anni di reclusione (10 in più di quelli richiesti dal pm) per il 37enne siciliano Costantino Lomonaco, assistito dagli avvocati Francesco Pisciotti e Roberto Brancaleoni, e 22 anni e 8 mesi (12 anni e 8 mesi in più della richiesta) per il 54enne pugliese Bruno Francesco Cacchiullo, assistito dagli avvocati Anna Salvatore e Luca Donelli. Riconosciuta ai due figli minorenni di Di Dato, costituitisi parte civile insieme alla madre attraverso l’avvocato Vincenzo Gallo, una provvisionale immediatamente esecutiva di 35 mila euro.
Dumbovic, secondo quanto emerso nel corso del processo, colpì alla testa Di Dato con un bastone da trekking metallico sottratto a uno degli ospiti dell’albergo, mentre Samardzic lo prese a calci e pugni più e più volte. Puniti severamente anche i due italiani, che quel pomeriggio non presero parte attivamente al pestaggio, ma che – stando alla ricostruzione degli inquirenti – avrebbero comunque concorso moralmente alla morte del 45enne campano. In pratica assistettero senza intervenire, impedendo agli ospiti – ha sostenuto l’accusa – di lasciare la struttura e allertare le forze dell’ordine.
Un massacro durato una ventina di minuti sotto gli occhi increduli, appunto, di alcuni clienti e dello stesso titolare dell’albergo. Dopodiché i quattro s’impossessarono del portafoglio di Di Dato, minacciando di tornare per riprendersi il resto dei soldi. Il 45enne campano, recatosi all’ospedale Infermi sulle sue gambe, morirà 9 giorni più tardi. Scontato, una volta lette le motivazioni, il ricorso in appello dei quattro imputati. Gli avvocati dei due slavi, in particolare, avevano incentrato la loro difesa sulla possibile riqualificazione del reato in omicidio preterintenzionale, evidenziando come l’intento dei loro assistiti non fosse quello di uccidere, bensì di “dare una lezione” a Di Dato. Una tesi che non ha fatto breccia nella Corte, dimostratasi decisa nel riconoscere l’assoluta gravità delle varie condotte.
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