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martedì 19 marzo 2024
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Ricordando Maurizio Bertaccini

Non ci servono gli eroi

In foto: eroi
eroi
di Andrea Turchini   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
dom 19 apr 2020 11:48 ~ ultimo agg. 11:49
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In questi due mesi di pandemia da Coronavirus il nostro linguaggio si è arricchito di espressioni tecniche o gergali utilizzate nelle conferenze stampa, sui social media, nel dialogo quotidiano. Con l’emergenza sanitaria siamo stati tutti introdotti in un contesto particolare, dove l’utilizzo di determinate espressioni diventa abituale.

Una delle espressioni più utilizzate (e abusate), all’interno di una retorica che si è diffusa in modo molto ampio, è il termine “EROE” attribuito – in questa circostanza – ai medici, agli infermieri e a tutto il personale sanitario: “sono i nostri eroi!”, diciamo a gran voce.
In altre circostanze drammatiche lo stesso titolo era stato attribuito ai pompieri, alle forze dell’ordine, … o ad altre categorie che, di volta in volta, si sono trovate al centro di una vicenda.
Senza nulla togliere all’impegno attuale dei sanitari o, in altre occasioni, delle altre professioni citate, io, sommessamente, vorrei dire che non sono d’accordo con l’utilizzo di questa espressione, e che non credo sia sano usarla per quattro diversi motivi.

– Il primo motivo è che questo termine è utilizzato inevitabilmente in modo esclusivo. Ogni volta che si attribuisce il titolo di eroe ad una determinata categoria di persone che balza agli onori delle cronache, automaticamente e involontariamente, si escludono altri, che magari si stanno pure impegnando in modo molto intenso, ma nel nascondimento delle famiglie, o in situazioni ritenute socialmente “meno nobili”.
Ripeto per essere chiaro: non voglio sminuire il grande lavoro che tutto il personale sanitario sta svolgendo in questa difficilissima crisi, ma perché allora non considerare eroi anche gli insegnanti, catapultati senza alcun preavviso nel tritacarne della didattica a distanza; perché non considerare eroi tutti coloro che lavorano nella filiera alimentare, rifornendo e gestendo i nostri supermercati per consentirci il necessario approvvigionamento di cibo; perché non considerare eroi le badanti, che sono rimaste al loro posto, accanto ai nostri anziani, prendendosene cura; perché non considerare eroi i genitori, che ogni giorno si devono inventare qualcosa per impedire ai loro figli di andare fuori di testa in questa situazione di isolamento sociale … si potrebbe andare molto avanti. Non mi sembra che sia socialmente utile questo processo esclusivo; forse, involontariamente, risulta anche un po’ ingiusto.

– Il secondo motivo è di carattere etico. Perché – mi chiedo – dovrei considerare eroe una persona che nella sua professione, cerca di dare il massimo e di fare del suo meglio con grande passione? Perché non dovrei pensare che questo sia “normale” e che io, come cittadino, avrei il diritto di attendermi che un professionista si comporti proprio così? Cosa penserei se, invece, si comportasse in modo superficiale, approssimativo, egoista? Considererei “normale” questo secondo atteggiamento? Non è forse “normale” che chiunque di noi, qualsiasi sia la sua professione, in qualsiasi ruolo la società lo abbia chiamato/a a spendersi, si comporti in modo professionale, mettendo tutto il suo impegno, la sua creatività, la sua intelligenza, il suo coraggio per svolgere bene il proprio lavoro, senza accontentarsi del minimo?
Una società che considera eroi coloro che fanno il proprio dovere e lo fanno bene, è una società malata, che elegge la mediocrità a norma e si rassegna a vivere in una situazione in cui prevale l’egoismo, la superficialità e l’indifferenza per il bene comune. Mi rifiuto di pensare che possa essere considerato “normale” vivere in una società come questa!

– Il terzo motivo è di carattere educativo. Da educatore, infatti, riconosco l’ambivalenza pericolosa della figura dell’eroe.
Ognuno di noi ha avuto bisogno di modelli per crescere e, come educatori, proponiamo ai nostri ragazzi delle figure modello per aiutarli a compiere le scelte che definiscono il percorso della loro vita; quando però un giovane si trova di fronte ad un “eroe”, sorge spontanea l’ammirazione, ma raramente scatta lo spirito di emulazione, perché ciò che risalta nel confronto è l’eccessiva distanza esistente tra l’eroe/eroina – persona straordinaria – e me, persona normale, con limiti e paure, con fragilità e insicurezze. Come per il santo, nel contesto ecclesiale, anche per l’eroe nel contesto civile si tende a mettere in evidenza l’eccezionalità che si manifesta, rispetto alla normalità nella quale molte persone, anche giovani, preferiscono identificarsi. La retorica dell’eroe, sul piano educativo, non ha molto valore e può rappresentare un boomerang pericoloso.

– Ci sarebbe un quarto motivo di ordine politico, che accenno solamente perché è stato ampiamente trattato sui giornali in questi giorni.
Risulta piuttosto ipocrita una società che, in situazione straordinaria, elegge alcune persone al ruolo di eroe, ma non li rispetta e non li valorizza sul piano salariale o sul piano delle condizioni di lavoro nelle circostanze ordinarie. Credo che, mentre è assolutamente doveroso che ad ognuno sia chiesto di dare il massimo sempre, è altrettanto doveroso da parte dello Stato, nelle sue varie componenti, riconoscere a chi si impegna, in qualsiasi ambito della nostra società, il rispetto dei suoi diritti, il rispetto della sua persona e un giusto salario. Io mi vergognerei a distribuire medaglie o onorificenze a persone a cui nego i riconoscimenti fondamentali in situazione ordinaria.

Secondo il mio modesto parere non abbiamo bisogno di eroima di persone che si impegnano, si appassionano, si mettono in gioco con la loro competenza, la loro professionalità e la loro creatività, per rendere questo mondo un luogo migliore per tutti. Ne abbiamo bisogno nei momenti di emergenza, ma ne abbiamo bisogno anche nei momenti ordinari, per vivere in un Paese dove non si usa la retorica per compensare l’ingiustizia, ma dove si domanda ad ognuno di fare del proprio meglio e si riconosce ad ognuno il valore di quello che sta facendo.

Ho scritto questa riflessione ricordando Maurizio Bertaccini, medico e diacono, morto questa settimana per infezione da Coronavirus, che sua moglie non vuole sia chiamato eroe, ma “solo” un uomo buono e un medico appassionato, che riteneva di non poter rifiutare nessuna richiesta di aiuto da parte dei suoi pazienti.

dal blog Tecnodon