Indietro
menu
Una situazione paradossale

In una stanza di ospedale con un paziente positivo. La paura di una donna in isolamento

In foto: uno dei biglietti ricevuti
uno dei biglietti ricevuti
di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 3 minuti
lun 16 mar 2020 19:52 ~ ultimo agg. 17 mar 19:41
Facebook Whatsapp Telegram Twitter
Print Friendly, PDF & Email
Tempo di lettura 3 min
Facebook Twitter
Print Friendly, PDF & Email

Una situazione paradossale quella che sta vivendo una donna residente in Valconca, da cinque settimane chiusa in casa, da sei giorni in isolamento domiciliare, con la paura di aver contratto il coronavirus. Il paradosso è nel fatto che, racconta la donna (ultraquarantenne sposata e con due figli), il possibile contagio sarebbe avvenuto in una sala d’attesa dell’ospedale di Cattolica, dove l’hanno portata i sanitari dopo una lastra ai polmoni.

Lei si trovava lì per fare delle lastre per una polmonite batterica che era cominciata a fine febbraio e che l’aveva tenuta lontana dal lavoro. Inizialmente la donna ha accusato mal di gola e febbre a 40, la sua dottoressa le ha immediatamente diagnosticato la presenza di placche. Ma, curata per questa patologia, la tosse persisteva ancora per diverse settimane finché non le sono stati prescritti dei raggi ai polmoni. Siamo al 10 marzo. Arrivata in ospedale, è stata prelevata da alcuni infermieri bardati di tutto punto con tute integrali e mascherine, come prevede il protocollo per i malati di coronavirus, ed è stata messa in una stanza insieme a un’altra persona.

La donna ha subito notato che, a differenza sua, questo suo “compagno” di stanza non indossava la mascherina, condizione questa che l’ha tranquillizzata e non l’ha spinta a chiedere all’uomo perché si trovasse lì. L’uomo è stato portato via e lei è rimasta chiusa in quella stanza praticamente tutto il pomeriggio, quando intorno alle 19:30 l’hanno rimandata a casa.

Il giorno dopo le hanno telefonato dall’Ausl per comunicarle l’esito del suo tampone: negativo, ma il suo medico ha chiesto al resto della famiglia di trasferirsi in un’altra casa e di lasciare la donna in isolamento, poi concertato con l’Ausl, perché era stata messa in una situazione di rischio visto che l’uomo nella stanza con lei, invece, era positivo al Coronavirus.

«Non è assolutamente mia intenzione incolpare medici e professionisti che, in questa situazione, in tutta Italia, stanno spendendo ogni energia per combattere questo maledetto virus. Io capisco benissimo il lavoro dei medici che stanno lavorando in condizioni estenuanti e vivere l’ospedale di questi tempi, dove tutto sembra surreale, vi assicuro che non è facile. L’ho visto con i miei occhi. Voglio solo sottolineare che bisogna stare attenti perché l’errore è dietro l’angolo e può colpire chiunque, siamo esseri umani».

Ora bisognerà aspettare il decorso della quarantena che la donna terminerà il 24 marzo. Nel frattempo cerca di vivere questa situazione come può: «Le crisi di tosse stanno sparendo ma ci sono ancora. La paura c’è, è lì e non se ne va”. Ma alla paura non vuole darla vinta e va avanti: “Per fortuna ci sono i social, riesco ad essere in contatto con i miei cari anche se in modo virtuale, ma aiuta. I primi giorni sono stati duri, ho passato il tempo a piangere perché la tosse non migliorava e l’umore era sotto i piedi. Poi però le cose sono migliorate e da ieri sto un po’ meglio. Ho anche scoperto quante persone mi vogliono bene e che si può stare molto vicini anche senza toccarsi. Basta che si tocchino i cuori. Sorrido ancora, ed è la mia fortuna, quando mio marito mi lascia la spesa fuori casa e trovo dei bigliettini d’incoraggiamento e un «ti amo», quando vedo mio figlio grande sullo schermo del telefono nelle videochiamate o quando il mio bimbo piccolino mi manda un disegno colorato: «Andrà tutto bene mamma» e io ci credo. Ma per favore, facciamo quello che ci dicono: stiamo a casa”.