La bara di Pantani esce alle 15.55. Una lettera contro la giustizia


Una folla molto
scossa da un messaggio di Marco Pantani, letto dalla manager
Emanuela Ronchi. Un lancio che alterna frasi compiute ad altre sgrammaticate. ”Per quattro anni sono in
tutti i Tribunali, ho solo perso la mia voglia di essere come
tanti altri sportivi. Ma il ciclismo ha pagato e molti ragazzi
hanno perso la speranza della giustizia”.
E’ un passo, più
volte interrotto da applausi fragorosi, di uno scritto che Marco
Pantani avrebbe lasciato alla famiglia su nove paginette di
passaporto, letto, quasi rotta dal pianto, dall’ex manager
Manuela Ronchi. E ancora: ”E io mi sto ferendo con la deposizione di una verità sul mio
documento – ha letto ancora Ronchi – perché il mondo si renda
conto che se tutti i miei colleghi hanno subito umiliazioni, in
camera con le telecamere nascoste per cercare di rovinare le
famiglie; e poi come fai a non farti male. Io non so come mai mi
fermo in casi di sfogo come questi. Io so di aver sbagliato con
le prove ma solo quando la mia vita sportiva, soprattutto
privata, é stata violata ho perso molto. E sono in questo paese
con la voglia di dire hasta la victoria, é un grande scopo per
uno sportivo, ma il più difficile é aver dato il cuore per uno
sport con incidenti e infortuni e sempre sono ripartito. Ma andate a vedere cos’é un ciclista e quanti
uomini vanno in mezzo alla torrida tristezza per cercare di
ritornare con quei sogni di uomo che si infrangono con le
droghe, ma dopo la mia vita di sportivo.
Ma la mia storia sia di
esempio per gli altri sport. Che le regole, sì, ma devono
essere uguali per tutti. E non esiste lavoro che per esercitare si deve dare il sangue,
e controlli di notte alle famiglie degli atleti. Un’altra
frase che ha scatenato un lunghissimo applauso dentro la piccola
chiesa di San Giacomo, e fuori, fra le migliaia di persone
compresse fra la chiesa, la piazza adiacente e il canale.
”Io non mi sono più sentito sereno, di essere controllato
in casa, in albergo, dalle telecamere – recita ancora il
documento letto dall’ex manager Manuela Ronchi – e sono finito
per farmi del male per non rinunciare alla mia intimità, a
quella della mia donna e dei colleghi che hanno perso. E molte
altre famiglie violentate”.
”Non sono un falso, mi sento ferito e tutti i ragazzi che mi
credevano devono parlare. Ciao, Marco”.
”E se un pò di umanità farà capire e chiedere cosa ci fa
sperare e capire – c’era scritto ancora nel messaggio – che con
uno sbaglio vero si capisce e si batte perché ci si sta dando
il cuore. Questo documento é verità, la mia speranza é che un
uomo vero o una donna, legga e si pone in difesa di chi, come si
deve dire al mondo, regole per sportivi uguali per tutti”. Così si chiude il
documento letto dall’ex manager nella chiesa di Cesenatico che
poi é scoppiata in lacrime, salutando il suo campione.
La folla ha tributato il suo saluto, il suo cordoglio,
mentre il feretro, seguito da una automobile con i familiari del
ciclista scomparso, si allontanava da San Giacomo.
Poco prima era uscito Charlie Gaul abbracciato da Vittorio
Adorni anche lui molto applaudito. Gli uomini del servizio
d’ordine hanno distribuito alla gente bandane gialle, che molti
si sono messi sulla testa nello stile del Pirata, altri se lo
sono stretti al braccio come simbolo del lutto di un ciclista.
Di seguito il testo completo della lettera scritta da Marco Pantani:
”Sono stato umiliato per nulla. Per quattro anni sono in
tutti i tribunali, ho solo perso la mia voglia di essere come
tanti altri sportivi, ma il ciclismo ha pagato e molti ragazzi
hanno perso la speranza della giustizia. E io mi sto ferendo con
la deposizione di una verita’ sul mio documento, perche’ il
mondo si renda conto che se tutti i miei colleghi hanno subito
umiliazioni, in camera con le telecamere nascoste per cercare di
rovinare le famiglie; e poi dopo come fai a non farti male. Io
non so come mai mi fermo in casi di sfogo come questi. Mi
piacerebbe, io so di aver sbagliato con le prove pero’, ma solo
quando la mia vita sportiva, soprattutto privata, e’ stata
violata, ho perso molto. E sono in questo paese con la voglia di
dire che hasta la victoria e’ un grande scopo per uno sportivo.
Ma il piu’ difficile e’ di aver dato il cuore per uno sport, con
incidenti e infortuni: e sempre sono ripartito. Ma cosa resta,
c’ e’ tanta tristezza e rabbia per le violenze che la giustizia
a tempi e’ caduta nel credere. Ma la mia storia spero che sia di
esempio agli altri sport che le regole, si’, ma devono essere
uguali per tutti. Non esiste lavoro che per esercitare si deve
dare il sangue, i controlli di notte alle famiglie degli atleti.
Io non mi sono sentito piu’ sereno di non essere controllato in
casa, in albergo, dalle telecamere e sono finito per farmi del
male, per non rinunciare alla mia intimita’, all’ intimita’
della mia donna, e degli altri colleghi che hanno perso. E molte
storie di famiglie violentate. Ma andate a vedere cos’ e’ un
ciclista e quanti uomini vanno in mezzo alla torrida tristezza
per cercare di ritornare con quei sogni di uomo che si
infrangono con le droghe: ma dopo la mia vita di sportivo. E se
un po’ di umanita’ fara’ capire e chiedere cosa ci fa sperare e
che con uno sbaglio vero si capisce e si batte, perche’ si sta
dando il cuore. Questo documento e’ verita’, la mia speranza e’
che un uomo vero o una donna legga e si ponga in difesa di chi,
come si deve dire al mondo, regole per sportivi uguali per
tutti. E non sono un falso, mi sento ferito e tutti i ragazzi
che mi credevano devono parlare. Ciao Marco”.