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Delfini in cattività. Pari (Cetacea) lancia l’idea di un’area protetta in mare

di Redazione   
Tempo di lettura 5 min
Mar 29 Ott 2013 17:00
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. Pari, cominciamo allora col bilancio dell’estate appena trascorsa?

É stata un’estate molto impegnativa perché abbiamo avuto l’idea di creare un’area recintata in mare, di oltre mille metri quadri, a Numana. Lì abbiamo messo le tartarughe prima di lasciarle in mare, per studiare il loro comportamento dopo i lunghi periodi di cattività per essere curate. È stata un’esperienza fantastica ma estremamente faticosa. Per il resto abbiamo avuto 42 tartarughe in degenza nel nostro ospedale e attualmente ce ne sono ancora cinque. Quattro di queste ultime sono state ferite sul carapace e avranno bisogno di un lungo periodo di cure prima di poter riprendere il mare.

. L’esperienza di Numana proseguirà?

Si, proseguirà anche l’anno prossimo. Tra l’altro Numana ha deciso di mettere sotto il proprio nome la dicitura ‘città delle tartarughe’ e mi dispiace che questo non l’abbiano fatto città come Rimini o Riccione. E ci sono in predicato proprio per Numana anche dei finanziamenti dalla Regione Marche e dal Ministero proprio per questa sua attività. Quindi si tratta di un’iniziativa lungimirante.

. Venendo alle ultime settimane, ci sono particolari emergenze nell’Adriatico?

Siamo proprio in piena emergenza perchè dal tre di ottobre ci sono stati ben 37 spiaggiamenti di tartarughe morte sulla costa dell’Emilia Romagna, nel tratto tra Porto Garibaldi e Cervia. Si tratta di tartarughe di varie dimensioni e tutte bene in carne, quindi non si tratta di problemi di fame. Dal 1992 in avanti un caso del genere non è mai accaduto. Un altro allarme riguarda i delfini: nell’arco di otto giorni si sono spiaggiati sei delfini morti in Emilia Romagna e ben 16 in tutto l’Adriatico. Anche in questo caso parliamo di un evento eccezionale di cui non conosciamo la causa.

. Ma ci sono delle ipotesi sulle cause di morte?

Qualche idea l’abbiamo ma le necroscopie al momento non danno conferme anche perché quando arrivano a riva sono già passati parecchi giorni dalla morte e i tessuti sono molto decomposti. Le ipotesi però ci sono. Ad esempio qualche tempo fa l’assessore regionale Rabboni aveva segnalato alcuni eventi insoliti nella zona di mare intorno al Po che potevano essere ricondotti alle attività del rigassificatore di Porto Viro che è un enorme impianto off shore attivo dal 2009 che rilascia grandi quantitativi di acqua gelida (29mila metri cubi all’ora): in sostanza utilizza l’acqua del mare per togliere il freddo dal gas metano che viene trasportato a meno 161 gradi ma deve ritornare a temperatura ambiente per essere reimmesso nel circuito di distribuzione. Questo meccanismo abbassa bruscamente di sei o sette gradi la temperatura di alcuni tratti vasti di mare e questo per la vita marina è un grosso danno. E probabilmente anche per la pesca. Un’altra cosa da tenere sotto controllo in Adriatico sono le navi che fanno prospezioni geologiche per trovare il petrolio e che usano i cannoni ad ultrasuoni. Questo potrebbe causare problemi ai mammiferi marini che usano proprio gli ultrasuoni. Ovviamente non sappiamo se queste sono cause dirette di quanto sta succedendo ma aprono comunque delle domande.

. Capitolo sede. Lo stop al progetto del comune di Riccione sulla Colonia Bertazzoni (attuale casa della Fondazione) permette di affrontare il problema con più calma?

Certo. Noi siamo profondamente grati al sindaco di Misano che ci aveva proposto in modo serio una nuova sede ma, al momento non abbiamo approfondito in modo serio la questione perché siamo in pieno sviluppo e il tempo per fermarsi a ragionare è poco. Opportunisticamente ci farebbe più piacere avvicinarci a Rimini, benché Misano sia una città stupenda. Per il ruolo che abbiamo, che è quello di educare alla conoscenza del mare, è più indicato andare dove ci sono il maggior numero di persone.

. Impossibile Pari non chiederle un commento sulla questione del Delfinario di Rimini e dei delfini. Dell’episodio si è ormai detto tutto ma è bene capire una cosa: i delfini in cattività possono tornare a vivere in mare come da molte parti si sente dire?

I delfini di Rimini, come quelli nati in cattività o in vasca da tanti anni, non possono tornare in mare liberi. Sono nati dipendenti dall’uomo dal punto di vista del cibo e delle medicine perché stando in cattività sono molto più soggetti a malattie. E un animale abituato a prendere gli antibiotici se va in mare rischia di morire alla prima ‘schifezza’ che trova. È evidente che si parla di animali umanizzati, praticamente una nuova specie: il delfino domestico. Una specie che in comune con l’altro delfino ha solo l’aspetto e la parte biologica. I comportamenti invece sono completamente diversi.

. Detto questo, quale sarebbe la soluzione migliore per i delfini che attualmente vivono negli acquari?

Io credo che i 21 delfini che sono in cattività in Italia, molti dei quali vecchi, sono animali destinati ad estinguersi nelle vasche. Il punto è che, visto che non si possono più catturare in mare nell’Unione Europea, si dovrebbe essere drastici e dire basta alla riproduzione in cattività. E questa non è una cattiveria perché questi animali non si riproducono allegramente ma solo quando glielo si lascia fare perché serve (interropendo la somministrazione di farmaci ecc.). Il mio sogno allora sarebbe quello di creare un’area protetta in mare, sull’esempio di quella per le tartarughe a Numana, per dare a questi 21 delfini un ambiente adatto in cui vivere la propria vita. Naturalmente ci dovrebbero essere veterinari e biologi pronti ad aiutarli. La gente potrebbe andare a vederli nuotare ma non dovrebbero più fare i clown a comando. I delfini hanno bisogno di muoversi, fanno anche 50 chilometri in un giorno, e in una vasca di 50 metri di diametro quanto possono muoversi?

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