Maxi evasione e frode all’Inps, il “re” degli hotel di Rimini sceglie di patteggiare


Era accusato di aver ideato, con la complicità dei tre figli e della moglie, una rete di società con lo scopo di evadere le tasse. Un danno stimato in 14 milioni di euro, con frodi verso Equitalia, Agenzia delle Entrate, Inps, Enel Energia ed Hera. Un albergatore molisano di 69 anni, trapiantato a Rimini da più di 30 anni, ribattezzato il “re” degli hotel in quanto gestore di fatto di sette strutture ricettive a Rimini, fu arrestato nell’ottobre del 2019 dalla guardia di finanza per evasione fiscale (vedi notizia).
Questa mattina, davanti al gup del tribunale di Rimini, Vinicio Cantarini, ha richiesto il patteggiamento a 3 anni e 8 mesi di reclusione. Tredici in totale le persone coinvolte, con accuse a vario titolo che vanno dalla bancarotta fraudolenta al riciclaggio e all’autoriciclaggio. Il pm titolare dell’indagine, Paolo Gengarelli, aveva contestato anche l’associazione per delinquere.
Stando alle indagini delle fiamme gialle riminesi, la famiglia di albergatori molisani aveva escogitato un sofisticato meccanismo di frode che le consentiva di evadere le imposte e le tasse comunali, di non pagare luce, acqua e gas, di non presentare le dichiarazioni dei redditi e dell’Iva.
A capo di tutto c’era il 69enne. Era il padre, secondo l’impianto accusatorio, a gestire personalmente tutte le attività e le relative disponibilità economiche, anche senza rivestire alcuna carica o partecipazione. Il collaboratore principale era il figlio 37enne, socio in molte delle società coinvolte negli illeciti e amministratore in altre. Sarebbe stato lui a trasferire le somme ricevute dal padre in diversi conti correnti e a sostituirle con beni di altra natura. Erano loro, insieme, a dare vita ogni anno a nuove società attraverso le quali gestivano i sette alberghi a Rimini. Poi, al termine della stagione o con l’avvicinarsi delle scadenze fiscali, gli indagati si “spogliavano” delle quote societarie, dell’amministrazione e della rappresentanza legale delle varie società, cedendole (con l’aiuto di un 36enne albanese residente in Molise) a prestanome extracomunitari (nullatenenti o pregiudicati) spesso irreperibili, e trasferendone la sede all’estero, in Albania, in modo da vanificare le pretese erariali e da ostacolare le procedure di fallimento.
Prima, però, sostiene l’accusa, padre e figlio le svuotavano di ogni bene, cedendo in realtà delle “scatole vuote”. Dal 2011 al 2019 avrebbero costituito ad hoc ben 47 società, 12 delle quali del tutto sconosciute al Fisco. In questo modo gli indagati pagavano solo i dipendenti e i fornitori ai quali erano legati da un rapporto di fiducia, mentre continuavano ad accumulare debiti nei confronti dell’Erario, del Comune e dei grandi fornitori, come nel caso delle utenze. L’ultimo passaggio della maxi frode sarebbe consistito nel ripulire le ingenti somme derivanti dai ripetuti reati fiscali: quei soldi, che sarebbero stati dirottati in società pulite (le cosiddette casseforti di famiglia), avrebbero permesso alla famiglia di albergatori – è la tesi delle fiamme gialle – di acquistare due alberghi sempre a Rimini.
Oltre all’albergatore 68enne, questa mattina altri due indagati hanno richiesto il patteggiamento, sei hanno discusso l’abbreviato e quattro la preliminare. Il pubblico ministero ha avanzato richieste di condanna che vanno a vario titolo da un anno a quattro anni e quattro mesi. Sentenze e ratifiche dei patteggiamenti sono attese il 12 ottobre.