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In maggioranza donne

Dati Inail: a Rimini in aumento infortuni sul lavoro da Covid 19

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di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
gio 28 gen 2021 13:56 ~ ultimo agg. 16:03
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Secondo il recente rapporto INAIL da poco presentato e aggiornato al 31 dicembre, i contagi da coronavirus sul luogo di lavoro a livello nazionale hanno ormai superato la soglia dei 131.000 casi.
In questo scenario l’Emilia Romagna con 10.338 casi rappresenta il 7,9% degli infortuni sul totale nazionale, quarta regione in Italia. Di questi 7.561 sono donne (73%), mentre 2.777 (27%) sono uomini. Per il 68% sono lavoratori del settore sanità e assistenza sociale, il 16% nella pubblica amministrazione e il 6,3% nei lavoratori precari della ricerca e tecnici impiegati in sanità.

Nella provincia di Rimini si registrano in totale 943 casi, di cui due mortali, con un trend in crescita: 296 i casi in più rispetto all’aggiornamento del 30 novembre (un numero complesso, in quanto le denunce avvengono spesso nei mesi successivi al contagio). Si tratta di 666 donne e 277 uomini con un’incidenza del 9,1% sul dato della Regione. La fascia di età con più casi è quella tra i 35 e i 49 anni, con 375. A seguire, quella tra 50 e 64 anni con 348. In Romagna il totale degli infortuni Covid in più rispetto al precedente aggiornamento è di 2.368. Dopo Rimini c’è Ravenna con 744 e Forlì-Cesena con 681.

in Emilia Romagna le denunce di infortunio causa Covid-19 sono per il 23,8% dei casi localizzate nella provincia di Bologna con 2.459 infortuni, seguita da quella di Reggio Emilia con 1.415 casi (13,7%), Modena con 1.401 (13,6%), Parma con 1.014 casi (9,8%), Rimini con 943 casi (9,1%), Piacenza con 870 casi (8,4%), Ferrara con 811 casi (7,8%), Ravenna con 744 casi (7,2%) e infine Forli-Cesena con 681 casi (6,6%).

“I dati sono migliorati rispetto alla prima ondata – commenta il Segretario generale della CISL Romagna Francesco Marinellima gli aumenti nel mese di dicembre devono preoccuparci. Diversamente da marzo dello scorso anno, ora abbiamo protocolli e dispositivi di sicurezza, ma nonostante ciò, l’andamento degli infortuni da novembre è ripreso a salire in maniera preoccupante. È fondamentale che le aziende e i lavoratori non abbassino la guardia”.

A riportare il dato è anche lo studio Rödl & Partner, che sottolinea un aspetto di criticità nel rapporto con le ATS, Agenzia di Tutela della Salute: “L’impasse – spiega l’avvocato Irene Pudda , esperta in privacy & labour compliance – è dovuta al fatto che il datore di lavoro non è autorizzato a comunicare ai colleghi il nominativo di un dipendente risultato positivo. L’azienda è tenuta a fornire all’ATS le informazioni necessarie perché quest’ultima possa assolvere ai compiti previsti dalla normativa emergenziale e, contemporaneamente, ha facoltà di domandare ai possibili contatti stretti di lasciare cautelativamente i locali aziendali, ma è l’ATS che ha la potestà di contattare i lavoratori per poi applicare le opportune misure di quarantena.

Si sottolinea il rischio, così facendo, è che le aziende lascino operativi interi reparti o uffici con il pericolo di diffusione del virus, non solo tra i dipendenti che sono stati a contatto diretto con il soggetto contagiato, ma anche tra i loro famigliari e i conoscenti.

“Tuttavia non si può fare diversamente – chiarisce l’avvocato Pudda – La procedura è volta a tutelare la privacy del lavoratore risultato positivo al coronavirus. Certo, come è facile immaginare, procedere alla disinfezione della postazione di lavoro, delle attrezzature utilizzate e degli spazi comuni frequentati dal dipendente, domandare ai possibili contatti stretti di lasciare cautelativamente i locali aziendali, nonché isolare o chiudere gli uffici in cui il dipendente ha lavorato garantendone allo stesso tempo la totale riservatezza è di difficile applicazione.”