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il 29 novembre inizio anno pastorale

La pandemia: una prova per crescere. Il Vescovo scrive alla Diocesi

In foto: il vescovo Lambiasi
il vescovo Lambiasi
di Simona Mulazzani   
Tempo di lettura lettura: 5 minuti
mer 22 lug 2020 15:24 ~ ultimo agg. 23 lug 12:46
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Una lettera che attraverso la lente del triduo pasquale e della Resurrezione legge il tempo dell’emergenza. Il Vescovo di Rimini Francesco Lambiasi ha scritto una lettera alla Diocesi sul momento che si sta vivendo, cercando di coglierne tentazioni e opportunità. Il vescovo riprende il monito di Papa Francesco: “peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla“.

La lettera del vescovo

Carissimi Fratelli e Sorelle, vengo a bussare al vostro buon cuore per condividere sentimenti, pensieri e primi orientamenti in merito alla fase attuale della pandemia in corso. Apro con un assist di Papa Francesco, il quale a Pentecoste ha lanciato un segnale preoccupato e pungente: “peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla”. In effetti sentiamo crescere dentro e attorno a noi la triste sensazione che per tanti, per troppi, l’amara lezione del Covid-19 sia passata invano, per venire poi frettolosamente archiviata.
Al riguardo non possiamo certo accontentarci degli slogan roboanti di una retorica stonata, tipo: “andrà tutto bene” o “niente sarà più come prima”. Mentre qui da noi non ha ancora finito di aggredirci, il virus continua, a livello mondiale, l’inesorabile escalation verso quote-record sempre più alte di devastante virulenza. Ora però non possiamo permetterci di lasciarci infettare da un altro virus ancora più micidiale: la globalizzazione dell’indifferenza.
Nella nostra Chiesa abbiamo avviato il tempo dell’ascolto in vista del discernimento del disegno di Dio sulle nostre vite e le nostre comunità. Nel frattempo raccogliamo le domande che salgono dentro di noi e che registriamo attorno a noi: “Cosa dobbiamo cambiare? Da quali abitudini reiterate siamo chiamati a liberarci? Cosa ci sta chiedendo il Signore in questo tempo? Perché un Dio buono permette tanto dolore nella vita dei suoi figli?”.
In queste domande si raccoglie l’urgenza di una lettura sapienziale e spirituale di ciò che è accaduto e che sta tuttora accadendo. Non per nostro merito, ma per pura grazia, noi cristiani riconosciamo il cuore pulsante del nostro credo: Cristo “è risorto il terzo giorno” (1Cor 15,4). Di qui la certezza irrefragabile: non una vaga formula, non un valore astratto, non una moda astrusa, non una ermetica ideologia ci salverà. Ma un evento: la Pasqua di Gesù crocifisso, morto e risorto. La lente del mistero pasquale ci consente di decifrare i messaggi che Dio scrive dritto anche sulle righe più storte della nostra storia, spesso così agitata e convulsa, eppure mai fatalmente condannata ad imboccare il tunnel cieco della disperazione. Perché è pur sempre avvolta dalla grazia della risurrezione di Cristo.

1. Il grido del Venerdì santo
Ci aiuta ad entrare nel mistero del dolore dell’umanità di ogni latitudine e di ogni tempo. Un dramma epocale e planetario. Un mistero, riassunto nell’urlo lancinante, lanciato dal Crocifisso verso il cielo: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.
Ai nostri giorni, nel cuore di tutti, credenti e non credenti, è risuonato, martellante, l’incontenibile interrogativo: perché tanta sofferenza nel mondo? Il Calvario si rivela non solo come il giorno di una violenza totalmente ingiustificata, ma anche come l’ora di una dedizione totalmente incondizionata. Nei pressi della croce contempliamo alcune persone – poche, ma rappresentanti di un resto di umanità – capaci di ‘stare in piedi’ sotto la croce, per accompagnare Gesù alla sua ultima ora.
Così, al capezzale di tanti malati, abbiamo visto medici, infermieri, operatori sanitari ‘stare in piedi’ accanto alle persone contagiate. Così pure abbiamo saputo di pastori e ministri delle comunità, di catechiste e operatori pastorali, di tanti volontari della Caritas, di giornalisti, delle forze dell’ordine, e di tanti, tantissimi altri: tutti impegnati a curare, ad assistere e consolare.

2. Il silenzio del Sabato
E fu sepolto”. Il giorno dopo la morte di Gesù è segnato dal silenzio, un silenzio pesante, eppure prezioso, perché gravido di attesa e di tenace speranza. La pandemia ci ha fatto sentire un po’ tutti nella tomba. Ha colpito a morte i nostri deliri di onnipotenza. Ha sbriciolato i miti di uno scientismo borioso e autosufficiente. Ha picconato i miraggi spavaldi dell’illusione prometeica dell’uomo contemporaneo di essere artefice assoluto del proprio destino. Noi tutti vorremmo uscire in fretta dal sepolcro.
Ma in questa fretta si occultano varie tentazioni, che vanno smascherate. La tentazione di considerare la pandemia una brutta parentesi, anziché una prova per crescere. Un bagno di umiltà per svegliarci dal letargo in cui eravamo piombati. Una salutare purificazione della memoria e della nostra stessa fede. Ancora, abbiamo registrato la tentazione di sognare il miracolo comodo che un Dio onnipotente non può non concederci, come se fosse il “dio-bankomat” del “tanto ti do, tanto mi devi”. All’opposto, si è riscontrata la tentazione di considerare la pandemia un flagello del cielo per i peccati degli uomini, come se il nostro Dio fosse un boss implacabile, e non l’Abbà di Gesù di Nazaret, che fa splendere il suo sole sia sui giusti che sugli ingiusti.
Il Sabato richiama anche il tempo del digiuno eucaristico: un digiuno forzato, che la pandemia ha pesantemente prolungato, ma che di fatto è risultato di stimolo ad apprezzare di più la celebrazione eucaristica. E a condividere la situazione a cui tante comunità cristiane del mondo sono costrette, a causa della persecuzione e della scarsità dei sacerdoti.

3. Il canto della Domenica
Il terzo giorno, giorno di Pasqua, dalla collina del Calvario è rotolata giù la notizia più strabiliante di tutti i tempi: “Gesù il Nazareno è risorto!”. Questo evento non vale solo per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà. Cristo infatti è morto per tutti ed è risorto come la “testa-di-serie dei morti”. “Dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto con il mistero della Pasqua” (concilio Vaticano II).
Nella tomba vuota è contenuto lo scrigno dove è riposta l’inossidabile chiave di lettura della vita e la password decisiva della storia. Il Crocifisso-Risorto ci offre il grande ‘regalo di Pasqua’: ci fa vedere perfino la morte dal versante della risurrezione. E pone il nostro desiderio di vita in un orizzonte di possibilità reale. “La risurrezione non è una cosa del passato; contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, tornano ad apparire i germogli della risurrezione. È vero che molte volte sembra che Dio non esista: vediamo ingiustizie, cattiverie, indifferenze e crudeltà che non diminuiscono. Però è altrettanto certo che nel mezzo dell’oscurità comincia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo, che presto o tardi produce un frutto. Ogni giorno nel mondo rinasce la bellezza, che risuscita trasformata attraverso i drammi della storia. Di fatto l’essere umano è rinato molte volte da situazioni che sembravano irreversibili” (Papa Francesco).
Dalla festa di Pasqua nasce la Domenica, giustamente chiamata pasqua settimanale. È il ‘giorno del Signore’, il ‘giorno della comunità cristiana’, il ‘giorno dell’eucaristia’, il ‘giorno della missione’, il ‘giorno della carità’, il ‘giorno della festa’, il ricordo del primo ‘giorno del creato’. E sarà proprio dalla Domenica che desideriamo riprendere il cammino per vivere e interpretare la pandemia in ascolto dello Spirito e partecipando al mistero della Pasqua del Risorto. Infine vi anticipo in breve alcune notizie che poi rilanceremo all’inizio di settembre. In quel mese avvieremo un processo di ascolto delle comunità parrocchiali, delle aggregazioni ecclesiali, degli organismi pastorali di partecipazione, delle comunità di vita consacrata, in vista di un’assemblea ecclesiale che – a Dio piacendo e… Covid permettendo (!) – avrà luogo venerdì 30 ottobre in serata. L’apertura dell’anno pastorale coinciderà con l’inizio dell’anno liturgico, il 29 novembre, I domenica di Avvento. Ed ora, mentre vi ringrazio per la cortese attenzione, vi saluto con grande affetto e vi benedico con tutto il mio povero cuore.