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il processo

Maltrattamenti a Villa Franca, condannate tre operatrici socio-sanitarie

In foto: I carabinieri il giorno del blitz a Villa Franca
I carabinieri il giorno del blitz a Villa Franca
di Lamberto Abbati   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
lun 9 dic 2019 18:04 ~ ultimo agg. 10 dic 14:04
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Tre condanne e un’assoluzione per i maltrattamenti di Villa Franca, la casa famiglia per anziani in via Erato a Rimini dove nel dicembre scorso i carabinieri di Rimini eseguirono cinque misure cautelari. Agli arresti domiciliari finirono il gestore di fatto della struttura, ufficialmente diretta da una cooperativa, e tre operatrici socio-sanitarie. Un’altra oss, invece, fu sottoposta al divieto di avvicinamento alla struttura. Questa mattina il giudice del tribunale di Rimini, Vinicio Cantarini, ha condannato con rito abbreviato tre delle quattro operatrici socio-sanitarie coinvolte: 2 anni e 8 mesi di reclusione a Quispe Soto, 38enne peruviana, 2 anni e 4 mesi a Maia Kvaviashvili, 51enne georgiana e 2 anni a Maria Carlotta Re,  51enne riminese. Dovranno inoltre risarcire in sede civile i danni morali sofferti dalle costituite parti civili. Assolta per non aver commesso il fatto Carmen Bordea, oss rumena di 31 anni. Niente processo, invece, per il gestore di Villa Franca, Benito Rosa, deceduto nel febbraio scorso all’età di 78 anni.

Le indagini del Nucleo operativo e Radiomobile dei carabinieri di Rimini, dirette dal sostituto procuratore Davide Ercolani – che nel frattempo si era opposto vista la gravità dei fatti al patteggiamento richiesto dai legali delle quattro imputate – partirono nel giugno del 2018 grazie alla denuncia di un’operatrice socio-sanitaria straniera che stanca di vedere gli ospiti maltrattati si era licenziata e aveva raccontato tutto ai militari prima di tornare nel Paese d’origine. Le telecamere dei carabinieri, nascoste all’interno della struttura, avevano documentato nei mesi di luglio e agosto oltre 150 episodi di maltrattamenti ai danni delle cinque ospiti ultraottantenni, quattro delle quali non autosufficienti. I maltrattamenti consistevano in scappellotti, strattonamenti, insulti e minacce verbali, che rendevano le vittime succubi delle operatrici socio-sanitarie. La struttura fu posta sotto sequestro e i familiari delle vittime, che non si erano accorti di nulla, rimasero sconvolti nell’apprendere la notizia. Le vittime furono trasferite in altre strutture.

Figura centrale dell’indagine il 78enne originario di Chieti, che si era guadagnato la fiducia del presidente della cooperativa (che è risultato estraneo ai fatti) e che, nonostante le sue precarie condizioni di salute, aveva in mano il controllo della casa di cura. Era lui che curava i movimenti bancari in entrata e in uscita, che dava indicazioni su dove acquistare i farmaci, che dettava i tempi e i modi di somministrazione dei pasti (forniti da un’azienda esterna), imponendo che da un singolo coperto ne venissero realizzati due in modo da recuperare cibo da destinare a persone esterne alla struttura. L’uomo, che viveva all’interno della casa di cura, pur non partecipando in prima persona ai maltrattamenti, aveva assistito più volte alle aggressioni fisiche delle operatrici senza mai intervenire. Alla morte di un’anziana avvenuta per cause naturali, le intercettazioni ambientali dei carabinieri captarono tutto il suo disappunto per la retta mensile che venne a mancare.

Le vittime dei maltrattamenti, quindi, vivevano in un vero e proprio clima di terrore continuo, che induceva le anziane a stare per la maggior parte del tempo sedute o a sdraiate a letto in silenzio. Ogni loro minima richiesta, infatti, diveniva il pretesto per scatenare la rabbia e l’aggressività delle operatrici, protrattesi fino al blitz dei dei carabinieri, che mise fine a mesi di umiliazioni e vessazioni fisiche. Per tre di loro, questa mattina, le accuse si sono trasformate in una sentenza di condanna.