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lettera in redazione

Il problema del paese non sono i migranti

In foto: l'articolo di Avvenire da cui è partita la riflessione
l'articolo di Avvenire da cui è partita la riflessione
di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 3 minuti
mer 9 ott 2019 17:04 ~ ultimo agg. 15 ott 09:43
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Sono un diacono permanente della Diocesi di Rimini e da sempre cerco di essere informato su ciò che accade nel mondo e nel nostro Paese. In particolare seguo il sociale e tutta la realtà della povertà e della emarginazione. Obiettore di coscienza 40 anni fa, impegnato nella Caritas di Rimini, insieme a mia moglie abbiamo cercato di avere uno stile di vita caratterizzato dall’accoglienza, dalla condivisione, dall’attenzione a chi non ce la fa da solo.

Ora sono in pensione e quindi ho più tempo per leggere e per seguire le varie trasmissioni politiche e di informazione. Una cosa mi ha colpito dell’ultimo governo giallo-verde e del neonato giallo-rosso: l’assoluta mancanza di riferimenti alla lotta alla mafia, alla camorra, alla ’ndrangheta.

A me pare che questo sia “il problema” del nostro Paese, e non i migranti. Problema che riguarda tutta la nostra società in maniera globale e trasversale: è un problema culturale, sociale, economico, di sicurezza; quindi deve essere messo tra le priorità se non la priorità assoluta. Un problema che si può affrontare solo unendo tutte le forze in campo; partiti, sindacati, associazioni di categoria, volontariato, scuola, famiglie, Chiesa. Sembra invece che sia una pre/occupazione solo della associazione “Libera” di don Luigi Ciotti e di pochi altri “visionari”.

Immaginiamo cosa potrebbe essere il Sud, la sua economia, il suo patrimonio artistico, culturale e ambientale se fosse libero dalla dominazione delle organizzazioni mafiose. Immaginiamo quante risorse umane potrebbero liberarsi ed esprimersi se potessero farlo libere da ogni forma di controllo. Immaginiamo cosa potrebbe essere l’economia del nostro Paese se non ci fossero i condizionamenti, le infiltrazioni, il controllo della delinquenza organizzata.

Immaginiamo come potrebbe essere tutto il settore delle infrastrutture in particolare delle opere pubbliche, se non ci fosse la presenza spesso dominante e inquinante della malavita organizzata. Mi sarebbe piaciuto sentir dire: «È finita la pacchia» alle organizzazioni criminali, ai mafiosi, ai camorristi, alla mafia economico-politica, ai corruttori e ai corrotti, agli speculatori senza scrupoli, a chi si presta al riciclaggio del denaro sporco…

Mi sarebbe piaciuto sentire dire: «È finita la pacchia» ai “caporali” che sia al Nord che al Sud sfruttano in maniera disumana la forza lavoro non solo dei migranti ma di tanti disperati che non hanno lavoro. Mi sarebbe piaciuto sentire dire: «È finita la pacchia» a quelle organizzazioni criminali che avvelenano e inquinano il territorio pur di averne un vantaggio economico. Mi sarebbe piaciuto sentire un Governo e l’intero Parlamento, maggioranza e opposizione, dire «mettiamoci insieme per affrontare e risolvere questo problema, il problema del nostro Paese».

Mi viene da pensare, ma vorrei tanto sbagliare, per i miei figli e i miei nipoti, che affrontare questo problema sia diventato così impegnativo, così complicato, così pericoloso che è meglio preoccuparsi di altro, dei disperati che arrivano con i “barconi”. Mi viene da pensare, ma vorrei tanto sbagliarmi, che il fenomeno sia talmente ramificato, talmente diffuso, da essere diventato una metastasi ormai incurabile e allora è meglio non nominare neppure più il male, il cancro.

Voglio ancora avere speranza negli uomini, nelle donne e nei giovani italiani che ancora credono che un altro Paese è possibile, un’altra trama è possibile, un altro finale è possibile… se si mette al centro il bene comune a partire dai più piccoli, dai più deboli, da chi non ce la fa più da solo. Un caro saluto, ancora pieno di speranza.

Cesare Giorgetti