Lavoratori licenziati a San Marino: l’80% sono frontalieri


1.212 dei 1500 lavoratori licenziati a San Marino nel periodo di crisi, dal 2008 ad oggi, sono frontalieri italiani, oltre l’80%. Si è passati da 6.605 a 5.393. La colpa? Le leggi sammarinesi che privilegiano i residente e la mancata stabilizzazione.
“Una situazione – spiega la consigliera regionale del Pd Nadia Rossi, prima firmataria di una risoluzione in Regione – dovuta principalmente a due fattori. Da un lato le leggi sammarinesi che nelle crisi aziendali prevedono la salvaguardia delle maestranze residenti in territorio. Dall’altro, ancora oggi, i lavoratori frontalieri hanno una tipologia di assunzione che non prevede alcun tipo di stabilizzazione, rendendone più facile l’espulsione”.
Da qui la richiesta della Rossi all’Assemblea legislativa perché la Regione coinvolga il Governo al fine di trovare, con San Marino, una linea comune che tenda alla stabilizzazione dei lavoratori frontalieri. Alla Rossi si son uniti un’altra dozzina di consiglieri del Partito Democratico.
“A San Marino per potersi iscrivere alle liste di avviamento al lavoro è necessario essere anagraficamente residenti, e non viene tenuto conto in alcun modo della storia lavorativa della persona. Un aspetto che contrasta anche con la normativa Ue che regola la materia”.
Nel 2011 è scaduta la precedente norma di stabilizzazione e da allora nulla si è fatto a garanzia dei frontalieri: un riconoscimento che si legava alla sottoscrizione dell’accordo in materia economico/fiscale tra Italia e San Marino, oltre che all’uscita di quest’ultimo dalla black list italiana. “Condizioni tutte raggiunte – sottolinea ancora la Rossi – per cui non vi sono più ragioni per tenere bloccato il percorso di stabilizzazione dei lavoratori frontalieri.”
La Rossi chiede anche chiarezza sugli ammortizzatori sociali. Attualmente le maestranze espulse dal mondo del lavoro stabilizzate prima del 2011 hanno diritto al riconoscimento dello stato di mobilità (70% della sua retribuzione per 12 mesi) ed alla ricollocazione. Terminato il periodo di mobilità, tuttavia, le diverse normative dei due Stati rispetto alla disoccupazione creano una disparità di trattamento: se infatti da una parte lo Stato Sammarinese prevede per i residenti ulteriori 9/12 mesi di indennità economica di disoccupazione, le normative italiane di fatto precludono ai lavoratori il riconoscimento di alcuna indennità. I lavoratori non stabilizzati, che sono la maggioranza, hanno diritto a 3 mesi di cassa integrazione e successivamente alla indennità economica di disoccupazione, ma avranno scarsissime possibilità di essere ricollocati nel territorio sammarinese.
Altri due problemi da affrontare l’aspetto fiscale legato all’annosa questione della franchigia e quello del riconoscimento da parte della RSM degli istituti previsti da entrambi gli Stati per il lavoratore che abbia un figlio invalido. “Circa la problematica fiscale – conclude la consigliera riminese – occorre che lo Stato italiano stabilisca definitivamente l’ammontare della franchigia e che sancisca il principio della sua rivalutazione in base all’andamento del costo della vita. Mentre sulle modalità di pagamento delle imposte, va superata l’attuale tipologia, alquanto complessa, e occorre modificare la norma per evitare che il lavoratore frontaliero debba subire la tassazione sui propri redditi da lavoro dipendente secondo regole che sono state calibrate per i lavoratori autonomi. Quanto invece al riconoscimento dell’invalidità del figlio da parte della Repubblica di San Marino, il problema nasce dal fatto che lo stato sammarinese esige che la dichiarazione della suddetta invalidità avvenga da parte del proprio ente previdenziale (ISS), cosa impossibile per chi non è assicurato con tale ente, in quanto residente in un altro Stato”.