Prostituzione. Gruppo Lisi chiede di rivedere ordinanza: vanno colpiti i clienti


Con una lettera al sindaco Sadegholvaad, il gruppo Gloria Lisi per Rimini insieme a rappresentanti di associazioni per le donne chiede di ripensare l'ordinanza antiprostituzione in vigore in città. Sono i clienti che vanno puniti, non le prostitute: il più delle volte si tratte di vittime di un mero uso sessuale e non di donne libere. Analoga richiesta era stata avanzata nel Consiglio Comunale del 15 maggio.
La richiesta è firmata da:
Gloria Lisi, Consigliera Comunale del Comune di Rimini
Ilaria Baldini, Resistenza Femminista
Agnes Thery, attivista OIVD
Esohe Aghatise, Presidente Associazione Iroko
Grazia Villa. Avvocata Avvocata
Chiara Parolin , Avvocata
Associazione DORAD
Sofia Scacchetti
Donatella Martini presidente associazione DonneinQuota
Associazione Movimento per i Diritti delle Donne
_______________________________________________________________________________________
Gentile Sindaco le chiediamo di riflettere prima di firmare la sua ordinanza. Nel rispondere alle richieste delle e dei cittadini di non assistere al dilagare della prostituzione nelle strade in cui abitano e si muovono, occorre avere chiaro di che cosa si parla quando si parla di prostituzione: dell’uso sessuale di qualcuna (povera) in cambio di denaro (da parte di chi ha soldi). Tutti sanno che si tratta di una situazione ad altissimo rischio (anche di morte), in cui sono coinvolte – nella parte in vendita – principalmente donne spesso minorenni (oltre a persone trans) e in grandissima parte dei casi sottoposte a forme di ricatto e coercizione economica e criminale. Coloro che pagano per usarle sessualmente sono la parte più numerosa degli attori coinvolti nella prostituzione, come minimo in rapporto di 10 a 1: uomini dotati evidentemente di mezzi economici, spesso sposati o in relazione, e sicuramente in grado di scegliere se, dove e come pagare per usare sessualmente a proprio piacimento un altro essere umano.
Per quanto riguarda le donne e persone coinvolte nella prostituzione, coloro che si trovano sulla strada sono quelle per cui meno di tutte si possa immaginare una scelta del tutto libera. Parlare di oltraggio alla decenza e al decoro a proposito del loro abbigliamento e dei loro atteggiamenti non solo risulta un atteggiamento moralistico che ricorda i tempi (purtroppo recenti) in cui lo stupro non veniva considerato un reato contro la persona ma contro la morale pubblica e il buon costume, ma rischia di rinsaldare stigma e pregiudizi nei loro confronti, aprendo oltretutto la strada ad ulteriori arbitrii a cui abbiamo già assistito nei confronti di tutte le donne, da parte di rappresentanti di politiche reazionarie e misogine. In Italia prostituirsi non è illegale, in base alla legge 20 febbraio 1958, numero 75, nota come “Legge Merlin”, una legge il cui intento è di punire e porre fine allo sfruttamento sessuale, certo non di punire le donne che per qualunque ragione si prostituiscono, alle quali vanno invece offerte concrete vie di uscita. In breve, le ragioni per non multare le donne sono le seguenti: se le donne fossero davvero libere, le si multerebbe con un pretesto moralistico, se non lo sono, si colpirebbe chi è già vittima di violenze, per giunta riducendo la violenza che subiscono a un affronto alla pubblica morale e al decoro. In entrambi i casi una grave ingiustizia.
Quanto agli uomini che pagano, sono loro che intralciano il traffico stradale e che possono scegliere di non alimentare un mercato che, come ben sanno, è costituito in gran parte da donne controllate, ricattate, costrette, dal bisogno o da criminali. Come in ogni mercato, è la domanda che alimenta l’offerta. Oggi poi non possiamo esimerci dal riconoscere quello che anche la Corte Costituzionale ha affermato nella sentenza 141/2019: che tali uomini espongono le donne a “rischi per l’integrità fisica e la salute … (violenza fisica, coazioni a subire atti sessuali indesiderati, contagio conseguente a rapporti sessuali non protetti e via dicendo)”. Sempre in base alla legge vigente, che nessun codice ATECO (uno strumento statistico, come ha ben spiegato la dirigente ISTAT Linda Laura Sabbadini) ha mai inteso né tantomeno avuto la capacità di mettere in discussione, prostituirsi non è illegale ma non è neppure un’attività lavorativa regolamentata, ed è bene che non lo sia, come ha riaffermato e motivato la Corte Costituzionale nel riconoscere la piena costituzionalità di tale legge. Rispondere alle giuste richieste di cittadine e cittadini è doveroso.
Scegliere di colpire la domanda e non mettere sullo stesso piano parti evidentemente in situazione di squilibrio di potere è a nostro avviso la risposta giusta in questo caso. Prendere provvedimenti giusti potrebbe oltretutto cambiare in meglio la cultura delle relazioni tra uomini e donne nel nostro paese. Sono gli utilizzatori di prostituzione quelli da sanzionare e scoraggiare, e le motivazioni, volendo, si trovano: disturbano, molestano, infrangono il codice della strada, espongono tutta la società, bambini inclusi, allo spettacolo terribile dell’acquisto dell’accesso al corpo di una persona ridotta a merce. Se cessa la loro domanda, cessa anche la prostituzione. Ci auguriamo che le nostre ragioni possano essere di aiuto nel motivare decisioni sagge a vantaggio di tutta la comunità.