Massacrato di botte in hotel per un debito. Il gestore: “Mai vista tanta violenza”


Si è aperto questa mattina con l’audizione del primo testimone il processo in Corte d’Assise a Rimini per l’omicidio di Antonino Di Dato, il 45enne campano legato in passato alla camorra, morto il 12 novembre 2021, dopo nove giorni di agonia, all’ospedale Bufalini di Cesena per le conseguenze di un brutale pestaggio avvenuto all’interno dell’hotel Emanuela di Bellariva, per un presunto debito – stando alla ricostruzione della Squadra Mobile di Rimini – di 7.500 euro.
Imputati con l’accusa di omicidio volontario aggravato in concorso ci sono il pugliese Bruno Francesco Cacchiullo, 54 anni, difeso dagli avvocati Anna Salvatore e Luca Donelli; il siciliano Costantino Lomonaco, 37 anni, difeso dagli avvocati Francesco Pisciotti e Roberto Brancaleoni; il croato Ivan Dumbovic, 44 anni, difeso dall’avvocato Antonio Pelusi. Ancora latitante, invece, l’ultimo componente del quartetto, Asim Samardzic, 47enne bosniaco, additato da alcuni testimoni come il picchiatore più accanito, assistito dall’avvocato Stefano Caroli.
Sul banco dei testimoni questa mattina è salito il gestore dell’hotel Emanuela, un 57enne riminese, che rispondendo alle domande del pubblico ministero Paolo Gengarelli ha ripercorso per filo e per segno cosa accadde il 2 novembre del 2021 all’interno della hall dell’albergo. “Ricordo che prima entrarono due persone, poi, dopo un po’, altre due. Mi dissero che conoscevano Antonino, che lo aspettavano… Mi parlarono di un debito che aveva con loro. Quando Antonino arrivò, andò incontro ad uno dei quattro per salutarlo, sembravano amici. Questo, invece, iniziò ad alzare il tono della voce e gli disse di mettersi a sedere indicando una delle poltrone. Anche io e altri quattro clienti fummo costretti a stare lì. All’improvviso il bosniaco iniziò a schiaffeggiarlo, mentre il croato lo colpì da dietro alla testa con un bastone da trekking in alluminio utilizzato da un cliente che aveva difficoltà a deambulare. Gli diede un colpo così forte che il bastone si spezzò. A me in quel momento mancò il fiato”.
Il pestaggio durò a lungo, “non so dire esattamente quanto”, ha riferito il gestore dell’hotel, che poi ha proseguito il suo racconto: “Antonino, dopo i primi colpi, chiedeva perché facessero così e loro tirarono in mezzo la questione dei soldi e del ferro (una pistola, ndr) che lui aveva perso. Mentre i due stranieri lo prendevano a pugni, lo insultavano e gli dicevano che era un infame, un traditore”. L’albergatore provò a mettersi nel mezzo, ma fu tutto inutile: “Io chiesi, ‘ma vi rendete conto che lo state ammazzando?’. E loro risposero: ‘Spostati, fatti gli affari tuoi’. In vita mia non ho mai visto così tante botte, così tanta violenza. Ho avuto paura, molta paura”. E ancora: “Uno di loro a un certo punto ha messo la mano destra dietro la schiena, come a prendere una pistola. Un altro invece, rivolgendosi a Di Dato, gli disse: ‘Non ti ammazzo qui perché altrimenti devo ammazzare tutti gli altri’“. Durante il massacro c’era anche chi del quartetto esortava Di Dato a saldare il debito: “Dai, Tonino, tira fuori i soldi che così smettono di picchiarti”.
Una volta terminato il pestaggio, i quattro si sarebbero allontanati portando via il bastone da trekking utilizzato per colpire di Dato, ma prima ancora avrebbero arraffato dal suo portafoglio circa 600 euro: “Credo fossero i soldi – ha spiegato l’albergatore – che diedi ad Antonino il giorno prima. Lui spesso mi procurava dei clienti, dei suoi amici, e io gli davo qualcosa. Perché nessuno chiamò la polizia? Perché eravamo tutti sotto choc, in stato confusionale per quanto accaduto. Ricordo ancora, come fosse oggi, la faccia di Di Dato deformata dai colpi ricevuti, era gonfia come un pallone. Appena fu accompagnato in Pronto soccorso, presi uno straccio e pulii il pavimento sporco di sangue…“.