Cresce il ricorso alla Cassa Integrazione e la mobilità. I dati Cgil


Il dato reale dei primi sei mesi 2006 per le aziende riminesi, eliminando la componente straordinaria dell’edilizia (il cui andamento è dettato dalle condizioni meteo), fa segnare infatti una crescita del 5,5%. Non mancano le note positive, ad esempio dai settori costruzioni, legno e commercio, preoccupa però la crescita del monte ore che si registra in settori chiave come il tessile – abbigliamento (più 62%), la meccanica (più 28%) e, soprattutto, carta e poligrafiche (più 83%). Ad aggravare la situazione del tessile la perdita di ore in aree funzionali, segnale di ridimensionamenti e trasformazioni strutturali in corso.
Quattro poi le aziende che hanno chiuso i battenti nel 2006: Fincolor, Tre EmmePI, N&T Italia e Blu Beverage. Alle quali si aggiungono le ormai note vicende relative a Ghigi di Morciano, Granarolo ed ora anche Fiabilandia. Proprio queste realtà adombrano il sospetto di interessi speculativi sul territorio: è sempre più frequente – ha fatto notare Garziano Urbinati della Cgil – che le aziende che chiudono siano fortemente indebitate oppure spesso si trovano in zone particolarmente appetibili. Negli ultimi anni – ha sottolineato Urbinati – è stato snaturato il concetto stesso di impresa, a contare è solo il profitto.
Crescono i lavoratori in mobilità, 306, il 48,5% in più rispetto al primo semestre dello scorso anno e ben il 175% rispetto al 2004. Un dato, tra l’altro, in soli sei mesi già superiore a quello dell’intero 2005. In maggior crisi il settore del terziario (234 posti persi). Migliora invece, anche se di poco, la situazione dell’artigianato (che rappresenta oltre il 77% delle imprese attive): il numero di sospensioni dal lavoro diminuisce infatti del 26%, 179 i lavoratori interessati. In un’ottica di medio periodo però i livelli di produzione e fatturato, tornano a crescere, dopo un calo datato 2003 e contrassegnato, nel triennio, da 640 chiusure. Cresce anche la precarietà: in molti casi i lavoratori licenziati e riassunti da altre imprese, passano dai contratti a tempo indeterminato a quelli a tempo determinato o atipici. In questa tipologia siamo tra l’altro tra le prime province in regione.
Necessario per il sindacato guardare al futuro. Con un avanzamento delle relazioni sindacali, che consenta ai lavoratori maggior partecipazione e controllo sulle scelte aziendali ed un ruolo più forte delle associazioni datoriali. E una stoccata alle istituzioni, cui la Cgil chiede maggiore autorevolezza. Ad esempio il sindacato chiede l’esigibilità dei contenuti dei protocolli che spesso invece vengono disattesi (vedi Stabilimento Ghigi di Morciano).
Altri dati sull’economia locale giungono infine dalla regione. Di seguito la nota della Cgil:
“Nel 2005 nelle attività del terziario riminese sono occupati il 70,1% di coloro che lavorano, contro una media regionale del 60,2%; mentre nell’industria viene occupato il 28,3% dei lavoratori (a fronte di una media regionale del 35,4%); l’agricoltura occupa l’1,6% dei lavoratori (4,4% in Emilia Romagna).
La quota percentuale più alta di lavoratori atipici in Emilia Romagna spetta secondo il Rapporto regionale sul lavoro a Rimini, con il 28% degli occupati; seguono Forlì-Cesena e Ravenna con il 23% circa. Le altre province si aggirano sul 20%.
La quota di atipici femminili è marcatamente più alta di quella maschile. La maglia nera ancora a Rimini con il 44% delle donne occupate che ha un lavoro atipico (16% i maschi); ci segue Forlì-Cesena con il 38% e Ravenna con il 35% di lavoratrici inquadrate con un contratto atipico sul totale delle occupate.
In sintesi, senza considerare il sommerso, migliorano alcuni indicatori del mercato del lavoro riminese, come il tasso di disoccupazione che passa dal 5,8% del 2004 al 4,7% del 2005, ma questa occupazione sembra essere soprattutto precaria. Persistono differenze di genere molto marcate sia nell’accesso al lavoro che nella qualità del lavoro trovato; squilibri a cui bisognerà trovare rimedio attraverso un massiccio utilizzo di offerta formativa destinata al potenziamento del livello di occupabilità femminile, l’attivazione delle misure di conciliazione casa-lavoro previste nella legge regionale 17/05 e una maggiore attività di vigilanza per contrastare il ricorso improprio al lavoro atipico, che sembra colpire particolarmente le donne, privandole spesso di diritti fondamentali legati ad esempio alla maternità.”