Diagnosi precoce e terapie riabilitative di eccellenza per il ritorno allo sport


Di celebri esempi di ritorni lampo e di recuperi ritenuti “impossibili” è pieno il mondo del calcio, ma in tutti gli sport dove vi è una buona organizzazione sociale e medico-sanitaria è possibile avere esempi virtuosi di recuperi importanti.
Una pietra miliare di un recupero riabilitativo sportivo eclatante è il caso del centrocampista del Bologna Carlo Nervo che subì nel 1998 la rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio durante una partita del girone di andata e, sebbene per l’epoca il ritorno in campo medio fosse di oltre 6 mesi, il giocatore tornò in campo nel girone di ritorno dopo appena cento giorni.
Questo fu possibile grazie all’intervento precoce dello staff sanitario del Bologna FC, dei chirurghi dell’ortopedia bolognese e a un programma rieducativo importante seguito dal calciatore, che ci mise del suo in termini di determinazione e motivazione a ritornare sul terreno di gioco in così poco tempo e con ottimi riscontri prestativi, dato che tre anni dopo conquistò perfino la maglia della nazionale italiana.
Questo episodio fece da apripista per altri calciatori e altri staff sanitari che cominciarono a studiare maggiormente i protocolli di recupero, spinti anche dalle nuove tecnologie che arrivavano in quei tempi dalla Sports Medicine americana, e piano piano furono messi in atto per ottenere ritorni allo sport sempre più precoci.
Il caso che passò alla storia fu quello di Roberto Baggio, che a 36 anni e a fine carriera subì nel 2002 la rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro durante la partita di Coppa Italia Parma-Brescia. Considerando la carriera funestata da infortuni e la non più giovane età, sembrava questo volesse dire per le cronache dell’epoca la fine della carriera per il Divin Codino. Come tutti sappiamo, non fu così. Baggio, dopo l’intervento chirurgico di ricostruzione del legamento crociato anteriore e un periodo di tre mesi di intensa riabilitazione presso Isokinetic, ritornò in campo dopo soli 77 giorni in una partita ufficiale segnando una doppietta contro la Fiorentina. Purtroppo per l’Italia, questo non bastò a convincere mister Trapattoni, che non lo convocò per i Mondiali 2002 in Corea. Il finale amaro per la nostra Nazionale è ancora oggi ben noto a tutti.
Dando uno sguardo al basket, in NBA l’ala piccola dei Lakers Ron Artest in arte “Metta World Peace” nel 2013, a 34 anni, a seguito della rottura del menisco laterale del ginocchio subì un intervento chirurgico.
Eseguì un’intensa riabilitazione, a discapito della prognosi di oltre quaranta giorni, e ritornò in campo in soli dodici giorni. Questo è un esempio molto particolare di recupero ad altissimi livelli dopo intervento al menisco laterale, ma purtroppo sappiamo benissimo che non per tutti gli atleti è così.
Guardando un altro sport molto amato come lo sci, analizziamo il caso di uno sciatore di diversi anni fa: Hermann Maier, campione austriaco di sci. Ai giochi di Nagano, nel 1988, durante una manche di discesa libera volò su un salto a oltre 105 km/h e atterrò rovinosamente sul collo e sulla spalla destra. Furono momenti terribili e per un po’ si pensò al peggio, ma il campione austriaco fu seguito in maniera eccellente da tutto il team medico.
Una diagnosi precoce e certa di concussione cerebrale (senza lesioni gravi subite), un protocollo specifico per il recupero post-trauma distorsivo concussivo messo in atto dal gruppo medico riabilitativo e una riabilitazione lampo consentirono allo sciatore di tornare sugli sci e, dopo soli tre giorni, di poter vincere due medaglie d’oro. Questo esempio è un mix vincente di appropriatezza medica e tenacia del campione.
Impresa ancor più grandiosa fu quella che portò nel 2001, a oltre 34 anni, lo stesso atleta austriaco a una storica medaglia di bronzo a Torino 2001, dopo che tre anni prima in un incidente stradale in moto aveva subito una frattura biossea di tibia e perone scomposta esposta con rischio di amputazione.
Un caso curioso è quello del saltatore in lungo francese Salim Sdiri, quando nel 2007 al Golden Gala di Roma, mentre gareggiava, fu trafitto fortuitamente da un giavellotto che gli provocò lesioni gravi al rene destro e al fegato. Nonostante la convalescenza lunga, grazie a un serrato percorso di riabilitazione e riatletizzazione, riuscì l’anno successivo a qualificarsi per le Olimpiadi di Pechino 2008 e a siglare il record francese di salto in lungo con 8,42 metri.
Sicuramente più celebre fu la storia di un giovane Marco Pantani nel 1994, quando venne investito in gara da una macchina dell’ammiraglia e riportò fratture multiple, tra cui una brutta frattura scomposta esposta biossea di tibia e perone, che rischiarono di minarne la carriera sportiva. In seguito a numerosi interventi chirurgici e a una riabilitazione eccellente e serrata tra piscina e palestra riabilitativa, il Pirata tornò a correre e quattro anni dopo con la doppietta Giro e Tour entrò nella storia del ciclismo.
Su un binario simile ma a maggior velocità, in tutti i sensi, Valentino Rossi dopo frattura di tibia e perone tornò in sella alla sua moto conquistando addirittura la prima fila in qualifica dopo sole tre settimane dall’infortunio. La precisione dell’intervento chirurgico, la rieducazione ottimale e la spericolatezza del campione furono un connubio vincente che portò Valentino a tornare a gareggiare allo stesso livello di prima.
Da questi casi si possono trarre semplici conclusioni: la componente psicologica e motivazionale dell’atleta conta tantissimo ed è quella che permette in larga parte il risultato, ma un’altra ampia percentuale di successo è determinata dall’evoluzione tecnologica della chirurgia e della medicina riabilitativa sportiva.
Dott. Jacopo Gamberini
Medico Chirurgo
Specialista in Riabilitazione ortopedica e sportiva
Isokinetic Rimini
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