Saluto fascista davanti ai clienti, ristoratore costretto a risarcirli


Il tribunale monocratico di Rimini l’ha assolto dall’accusa di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale come previsto dalla riforma Cartabia per i reati sussistenti ma di lievi entità. Al contempo, però, l’ha condannato a risarcire alla parte civile i danni morali, quantificati in 2mila euro, e le spese legali che ammontano a 3.500 euro. A processo era finito il ristoratore del “Tana Marina” a Viserbella, accusato di razzismo nell’agosto del 2020 da una tavolata di clienti di origine senegalese.
Il titolare, un riminese di 54 anni, dopo aver preso l’ordinazione si sarebbe girato verso un angolo del locale dove, all’interno di una nicchia ricavata nel muro, era – a detta dei testimoni – posizionato un quadretto ritraente il Duce e ad alta voce avrebbe proferito la seguente frase: “Scusa Benito, ma devo servire anche i neg**”. Ne era nata un’accesa discussione, con i clienti di origine senegalese (alcuni dei quali nati in Italia e da sempre residenti a Bergamo) che si erano sentiti discriminati per il colore della loro pelle: “Siamo clienti come gli altri, questo è razzismo – avevano gridato puntando il dito contro l’uomo -. Si vergoni, ma lei sa cos’ha fatto Mussolini?”. A quel punto il 54enne, in evidente imbarazzo, avrebbe fatto sparire la foto del Duce e la cena sarebbe proseguita perché, come hanno spiegato in udienza i componenti della tavolata, “eravamo lì per festeggiare il compleanno di una bambina di 8 anni e non volevamo rovinarle la festa. Inoltre, a Ferragosto, alle nove e mezza di sera, se fossimo andati via non avremmo trovato posto da nessun’altra parte”.
Una volta terminata la cena, il gruppo di origine senegalese aveva lasciato il ristorante senza ulteriori polemiche e tutto sembrava essere rientrato. Invece, una delle commensali, che risiede a Imola, una volta tornata in città decise di recarsi in caserma per raccontare quanto accaduto alcuni giorni prima. Essendo la propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale un reato procedibile d’ufficio, i militari dell’Arma segnalarono l’episodio alla Procura di Rimini, che aprì un’indagine.
Il ristoratore, che fu rinviato a giudizio, ha sempre respinto con forza le accuse di razzismo, negando sia la presenza nel locale di un quadretto di Mussolini sia di aver mai fatto il saluto romano. A provocare – a suo dire – la reazione furiosa dei clienti sarebbe stata una cassa di vino di Predappio con l’immagine di Mussolini nell’etichetta, ma soprattutto la lunga attesa prima delle ordinazioni. Il difensore del ristoratore, l’avvocato Piero Ippoliti, che ha già preannunciato ricorso in Appello contro la sentenza di primo grado, nel corso del processo ha sottolineato come dai filmati interni di videosorveglianza non vi fosse traccia del quadretto fascista. “Solo perché – ha ribattuto l’avvocato di parte civile, Maurizio Ghinelli – le telecamere sono puntate verso il centro della sala e non inquadrano gli angoli”.
Il ristorante di Viserbella, all’epoca subissato di offese via social, fu oggetto anche di una contestazione di piazza, promossa da Anpi, Casa Madiba e Sardine, andata in scena proprio davanti al locale (vedi notizia).