
Una riflessione che parte dalla tragedia avvenuta una settimana fa in cui un ragazzo di 34 anni ha perso la vita a causa dei colpi che gli sono stati inferti da un 28enne e che si allarga ad una valutazione più ampia sulle difesa personale e sulla proporzionalità della reazione. A proporla, in qualità di criminologo e docente è Carlo Alberto Pari.
I duri della notte che piangono di giorno
Non è accettabile che un ragazzo perda la vita, per una banale, insignificante contesa. Purtroppo era già accaduto, tante altre volte. Cerco di andare sul concreto, evitando lo specifico episodio di Rimini, le indagini sono in corso ed appureranno i fatti. La mia osservazione evidenzia ciò che accade generalmente in tanti contesti, sperando possa essere utile, per evitare altre simili tragedie. Un banale litigio, dalle parole ai fatti, il dramma. Una persona rimane gravemente ferita, o addirittura perde la vita. Il “duro della notte” che lo ha colpito, solitamente, il giorno successivo piange e si dispera : “non volevo, non sapevo, non credevo”. Le indagini, i lunghi processi, le condanne, i risarcimenti. Una persona perde la vita, un’altra è rovinata per la vita. Questi i risultati finali di una stupida rissa, esplosa per rabbia, o peggio per “onore”, termine vetusto, retaggio di un passato anacronistico, bandito con lungimiranza, anche da diversi articoli del codice penale. Se nascono
dissidi tra persone, esiste la legge e le forze deputate ad intervenire, non i regolamenti di conti o le vendette, la legittima difesa è cosa completamente avulsa.
E’ assai complesso e non standardizzabile, stabilire le motivazioni di una discussione che degenera incontrollata. In questo articolo, prendo in considerazione solo la componente tecnica, di sovente presente, quando nelle situazioni vengono coinvolti giovani uomini. Dove imparano a colpire con tanto accanimento? I dati ufficiali indicano nel nostro Paese, un numero di iscritti molto rilevante, relativamente alla pratica di sport da combattimento o più in generale, alle arti marziali. La maggioranza, non ha il fine dell’agonismo, ma semplicemente, praticare un’attività finalizzata all’apprendimento di tecniche utili alla difesa personale. Tra questi, in aumento, per ovvie ragioni, anche le Donne. Nell’ambito normativo di queste pratiche, a mio modesto avviso, sussistono alcune gravi lacune. La prima. Di fatto, è sufficiente un’associazione sportiva, a volte un corso di poche ore, per iniziare ad insegnare pubblicizzando la disciplina, a seconda della moda del momento, indicandola come proveniente dai più disparati Paesi del Mondo. Gli utenti ignari, si iscrivono, spesso in funzione della comodità logistica, senza valutare il percorso professionale e di vita del Tecnico, cosa assolutamente fondamentale, soprattutto, se si affidano dei minori. Evidenzio che nella scuola pubblica, per insegnare educazione fisica, serve almeno una laurea. Sarebbe quanto meno auspicabile, l’obbligatorietà di essere inseriti in un Albo Nazionale dei Tecnici, autorizzati da un Ente di Promozione Sportiva riconosciuto dal Coni, o da una Federazione del Coni. La seconda lacuna, riguarda le modalità d’insegnamento, ergo, ciò che si insegna. Escludendo gli atleti agonisti, che hanno il fine della vittoria, più o meno cruenta, a seconda delle Arti Marziali o Sport da combattimento, tutti gli altri, come già detto, hanno il fine della Difesa Personale. Premesso che la pratica sportiva dilettantistica, dovrebbe avere in ogni caso lo scopo primario del benessere, nelle Arti Marziali psicofisico, in quanto permane fondamentale la parte filosofica ed educativa, purtroppo, non di rado, quello che viene insegnato, non è assoggettabile alla Difesa Personale moderna. Sintetizzo e semplifico. E’ bene ribadire ancora, che i regolamenti di conti, le vendette, le reazioni fisiche ad offese verbali, non possono essere considerate Difesa Personale, quindi, fuorilegge. E’ bene evidenziare che insegnare a colpire, indipendentemente da ciò che si subisce (una presa di un polso, una spinta, una presa di un bavero, ecc) non è Difesa Personale, quindi fuorilegge (infinitamente più complesso del colpire, insegnare a difendersi cercando di limitare o non creare danni). La società moderna è cambiata in modo radicale rispetto al passato, ma i programmi di molte discipline non si sono mai adeguati. La normativa di legge attuale sulla difesa personale, prevede, in tutti i Paesi civili, un principio avulso dal passato, ma oggi, di fondamentale importanza: la “proporzionalità” della reazione.
Dubito che questa mia analisi possa indurre gli organi deputati a riflettere e produrre normative al riguardo, obbligando la proporzionalità, in qualsiasi programma tecnico delle attività deputate, ma spero possa portare molti insegnanti a valutare ciò che propongono nelle palestre. La Difesa Personale moderna ha un solo fine, complesso ed estremamente ambizioso: la proporzionalità della reazione.
Carlo Alberto Pari
Criminologo e Docente
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