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brutale omicidio a bellariva

Ucciso per un debito di 7mila euro, i picchiatori a processo. Uno è latitante

In foto: due dei picchiatori ripresi dalle telecamere fuori dall'hotel
due dei picchiatori ripresi dalle telecamere fuori dall'hotel
di Lamberto Abbati   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
gio 17 nov 2022 17:48 ~ ultimo agg. 18 nov 12:52
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Il pubblico ministero Paolo Gengarelli ha disposto il giudizio immediato e il prossimo 23 gennaio compariranno davanti alla Corte d’Assise di Rimini per l’uccisione di Antonino Di Dato, 45enne campano affiliato alla camorra, morto il 12 novembre 2021, dopo nove giorni di agonia all’ospedale Bufalini di Cesena, per le conseguenze di un brutale pestaggio avvenuto all’interno di un hotel a Bellariva.

Imputati con l’accusa di omicidio volontario aggravato in concorso ci sono il pugliese Bruno Francesco Cacchiullo, il siciliano Costantino Lomonaco e il croato Ivan Dumbovic. Ancora latitante, invece, l’ultimo componente del quartetto, un 45enne bosniaco, additato da alcuni testimoni come il picchiatore più accanito.

Di Dato fu ucciso per un debito pregresso mai saldato di circa 7.500 euro. Così hanno accertato gli investigatori della Squadra Mobile di Rimini, che un anno fa arrestarono tre dei quattro picchiatori. Una spedizione punitiva, secondo l’accusa, quella avvenuta all’interno di un albergo di Bellariva. Il campano fu trascinato con la forza nella hall, dove fu riempito di calci e pugni alla testa e al torace. Mentre i due slavi, come emerge da alcune testimonianze, infliggevano alla vittima colpi su colpi utilizzando anche un bastone in metallo, i due italiani avrebbero trattenuto nell’albergo i pochi ospiti presenti in modo che non potessero né fuggire né dare l’allarme alle forze dell’ordine. Il massacro durò una ventina di minuti. Dopodiché il quartetto s’impossessò del portafoglio di Di Dato minacciando di tornare per riprendersi “il resto dei soldi”.

Fondamentali per risalire ai quattro aggressori sono state le testimonianze di alcuni clienti, che hanno deciso di collaborare, oltre all’analisi minuziosa dei sistemi di videosorveglianza presenti in zona. Per tre di loro, presto, si aprirà il processo. Rischiano l’ergastolo.