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presentazione 17 marzo

"Le ferite che non volevo". Il prof Mussoni si cimenta in un romanzo

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
mer 9 mar 2022 16:19
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Dopo “Il capitolo più bello del libro” Manuel Mussoni torna alla scrittura per cimentarsi con un romanzo dal titolo “Le ferite che non volevo“, edizione Itaca. Mussoni, presidente di AC diocesana e docente di religione, da anni si confronta con gli adolescenti delle classi in cui insegna e sono stati proprio i ragazzi, la loro bellezza e le loro fatiche, ad ispirarlo. Il libro avrà una presentazione speciale, giovedì 17 marzo alle 21 al Super Cinema di Santarcangelo, in una serata gestita dagli studenti, quindi con tante sorprese e imprevisti.

Le ferite che non volevo” racconta la rabbia che c’è negli adolescenti di oggi, facendo emergere con forza e realismo ciò che pensano e ciò che sta loro a cuore. Il romanzo è ambientato tra Rimini e Bologna, in due momenti cronologicamente distanti trentanni l’uno dall’altro. È la storia – tratta da fatti realmente accaduti – di due ragazzi, Matteo e Alex, che appaiono più feriti che colpevoli e più delusi che deludenti. Un’amicizia nata e cresciuta tra cattiverie e ingiustizie causate da un mondo adulto distratto e totalmente incapace di intercettare i più giovani, duramente colpita da circostanze che portano a un allontanamento. La ritrovano da adulti quando uno dei protagonisti, Matteo, come negoziatore della polizia deve gestire un rapimento in cui la vittima è la figlia dell’amico Alex. Il romanzo è attraversato da un pericoloso segreto che non deve emergere e che condiziona le relazioni di due famiglie, convinte che certe ingiustizie vadano accettate silenziosamente per evitare di trovarsi a viverne di peggiori. Emerge lo spaccato di una società fatta di ipocrisie, tradimenti, rapporti dominati da estraneità e violenza: donne che vivono la vita di coppia come un tunnel tenebroso senza via d’uscita, perennemente schiacciate dal quesito sull’identità del vero amore; figli che cercano affannosamente modelli da seguire convinti che l’età adulta porti un livello di consapevolezza e di serenità circa le proprie scelte di vita, ma che spesso devono appoggiarsi solo sulle proprie forze.

È una generazione orfana quella a cui il romanzo dà voce, facendo emergere l’aridità di una proposta adulta, anche quella religiosa, che non sa intercettare i bisogni e le esigenze dei propri figli.
Più che un confessionale di legno posto in chiesa, dove un prete attende i giovani, sono loro ad avere un angolino delle confidenze dove attendono trepidanti qualche adulto disponibile all’ascolto.
L’incapacità di genitori e Chiesa a rispondere a queste attese viene riscontrata anche nel contesto scolastico e in una squadra calcistica in cui i ragazzi faticano enormemente a sentirsi coinvolti.
Il vuoto educativo sembra incolmabile quando emergono due figure che riscattano le delusioni vissute fino a quel momento. Si tratta di un riscatto che non può e non vuole lasciare l’ultima
parola alla rabbia, ma intende affrontare le sfide della vita reale. Non tutto è perduto.