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Dossier approfondimento

La vita nelle comunità e nelle case-famiglia ai tempi del Coronavirus

di Silvia Sanchini   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
ven 30 ott 2020 09:35 ~ ultimo agg. 17 nov 09:22
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Si è parlato molto dell’emergenza sanitaria che ha colpito il mondo in questi mesi e oggi si parla delle conseguenze economiche della crisi, ma in pochi hanno ricordato che esiste anche un’emergenza sociale che non può essere sottovalutata.

Una recente ricerca dell’Ospedale Gaslini di Genova ha messo in luce i forti strascichi sulla salute psicologica di bambini e ragazzi.

Molte associazioni evidenziano che gli episodi di violenza nei confronti dei bambini si sono moltiplicati.

Nonostante questo, ci sono voluti 53 giorni dall’inizio del lockdown perché il presidente del Consiglio Giuseppe Conte pronunciasse per la prima volta la parola bambini. L’associazione Agevolando insieme a un gruppo di organizzazioni, professionisti, cittadini ha voluto mantenere alta l’attenzione su questi temi proponendo un “#DecretoBambini” e avviando una raccolta firme su Change.org che ha trovato oltre 5.000 sostenitori.

E se, giustamente, sono state elogiate tante categorie professionali che non si sono mai fermate neanche nelle settimane più dure, altrettanta attenzione non è stata dedicata agli educatori professionali e in generale al mondo delle comunità.

Sono 4.027 le comunità per minorenni presenti sul territorio italiano con una media di 8,1 ospiti ciascuna.

Un’educatrice bolognese, Giorgia Olezzi della cooperativa sociale Open Group, ha avuto un’idea e lanciato l’hashtag #IoRestoInComunita, spiegandolo così: “#IoRestoInComunita è evoluzione del necessario, non per tutti realizzabile, #IoRestoACasa. Noi ci siamo, non siamo soli e non lasciamo soli. Giorno dopo giorno restiamo accanto perché siamo una grande famiglia… educatrici ed educatori, operatrici ed operatori sociali: forti, appassionati, creativi, allegri e mai distanti”.

L’associazione Agevolando – che si occupa dei giovani in uscita dai percorsi di accoglienza “fuori famiglia” (tecnicamente care leaver) – ha raccolto l’appello e raccontato attraverso il sito e la pagina Facebook questo lavoro prezioso e necessario in cui educatori e operatori sono anche loro in prima linea accanto a bambini, ragazzi, migranti, persone con disabilità, mamme e famiglie in difficoltà.

Ci sono foto in cucina, ragazzi che curano l’orto e il giardino, lezioni a distanza, pranzi in cortile o sulla terrazza e laboratori teatrali.

Le comunità hanno ricevuto molti aiuti e solidarietà dagli amici e dai volontari anche in queste fasi difficili: c’è chi ha fornito tablet o giochi in scatola per permettere ai bambini e ai ragazzi di trascorrere il tempo distraendosi o frequentare con più facilità le lezioni a distanza. In molte zone d’Italia le comunità hanno ricevuto in dono anche la spesa alimentare, vestiti o altri aiuti.

Non sono mancate però le situazioni di criticità: legate soprattutto alla restrizione della libertà in un contesto già di per sé ad alta complessità. Le strutture di accoglienza si sono ritrovate impreparate ad affrontare l’emergenza. Ha raccontato ad esempio Roberto Vignali, coordinatore della cooperativa sociale “Il Millepiedi” di Rimini: “Difficile all’inizio per gli educatori e i ragazzi capire come comportarsi e convivere in ambienti dove abitano tante persone. Non avevamo sufficienti mascherine o gel igienizzanti, ci siamo assunti dei rischi. Abbiamo dovuto interrompere gli incontri tra i ragazzi e le famiglie e l’ingresso in comunità di persone esterne. Per fortuna questa situazione difficile ha fatto nascere anche una grande collaborazione tra educatori e ragazzi”.

Non solo difficoltà per chi vive ancora in comunità o in affido ma anche per i care leaver già usciti dal sistema di accoglienza, spesso giovani molto vulnerabili e soli, e anche per loro durante le settimane di lockdown in alcuni casi si sono riacutizzate situazioni di violenza o isolamento. La situazione dei bambini e dei ragazzi che vivono “fuori famiglia” e dei giovani care leaver è stata portata all’attenzione delle istituzioni anche dall’Autorità Garante Infanzia e Adolescenza, che ha scritto al Presidente del Consiglio per segnalare le loro difficoltà.

Da questi materiali raccolti nelle settimane più critiche tra marzo e maggio è nato il Dossier: La vita nelle comunità e nelle case-famiglia ai tempi del Coronavirus che ha cercato di raccogliere sia le iniziative di comunicazione prodotte dal terzo settore stesso per raccontarsi (campagne, appelli, approfondimenti, webinar…) sia le attività accolte dai media nazionali e locali che hanno dato voce a questo mondo.

Infine, spazio soprattutto alle voci dirette dei protagonisti dei percorsi di accoglienza: educatori, operatori sociali, volontari, e soprattutto ragazzi e ragazze.

Perché sono loro il principale e vero motore di cambiamento, in ogni situazione (anche la più difficile).

Come ha scritto con grande sensibilità Pamela, 17 anni, accolta in una comunità di Genova: “Una casa non è questione di mattoni, ma di amore. Anche uno scantinato può essere meraviglioso. Casa non è dove si dorme. Casa è anche vivere con 12 ragazzi che poi diventano la tua famiglia. Casa è anche vivere con 7 educatori che si occupano di te. Casa è anche condividere la tua paura di cadere e la tua gioia di rialzarti, casa non è dove vivi ma dove ti capiscono e ti vivono. Casa è anche la pelle di chi, quando ti abbraccia ti fa sentire al posto giusto. Là dove sei felice, sei a casa. E questo l’ho sperimentato soprattutto in queste settimane così nere”.

È nato così questo racconto collettivo di un’Italia – con contributi dal Trentino alla Sicilia, dalla Sardegna all’Emilia-Romagna – di cui poco si parla ma che ha resistito e ancora oggi resiste con solidarietà, laboriosità e creatività.

Silvia Sanchini

Foto inviate ad Agevolando per la rubrica #IoRestoInComunità dalle comunità/case-famiglia d’Italia e raccolte su Facebook a questo link: https://www.facebook.com/media/set/?vanity=associazioneagevolando&set=a.2916740568433588