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emergenza covid19

Servizio docce per i senza fissa dimora. Rumori Sinistri precisa

In foto: repertorio
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di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
mar 14 apr 2020 12:21 ~ ultimo agg. 21 apr 09:52
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Pur soddisfatta per l’attivazione di un servizio docce per le persone che sono in strada – finora ne hanno usufruito 43 persone in un’unica apertura (venerdì dalle ore 10 alle ore 17), l’associazione Rumori Sinistri precisa che la modalità di questo servizio soffre di improvvisazione e gestione emergenziale.
“Una città che ospita milioni di turisti, con più di mille strutture alberghiere (2.500 in tutta la Provincia) non è in grado di organizzare un servizio degno per la accoglienza e per l’igiene personale delle persone senza casa che vivono nella Nostra città senza un luogo sicuro, uno spazio di protezione in cui rifugiarsi – scrivono nel comunicato – Servono nuove case e spazi per l’accoglienza delle persone senza dimora per sperimentare progetti inclusivi e autogestiti come Casa Don Andrea Gallo Rimini #perlautonomia 2.0, ripensare dalla base i servizi fini ad ora strutturati.
Per queste ragioni abbiamo deciso come associazione di non partecipare direttamente alla gestione del servizio docce – come erroneamente riportato nel testo dell’articolo – ma di supportarlo (visto che le aperture saranno prorogate anche nelle prossime settimane) attraverso la raccolta di vestiario che inizieremo nei prossimi giorni con la #StaffettaSolidale insieme alle attiviste del Guardaroba Solidale Madiba e dell’assemblea provinciale Reddito di quarantena in Emilia-Romagna“.
Il comunicato si chiude con una forte accusa:
“Vogliamo dirlo chiaro e tondo che questa emergenza sanitaria sta evidenziando come, nell’epoca del capitalismo globale, questa pandemia non coinvolge tutta la popolazione nello stesso modo.
Le classi sociali più svantaggiate, le persone senza casa, quelle indigenti sono le più esposte al contagio e le immagini delle fosse comuni che arrivano da Hart Island sono un pugno al cuore, un macigno sulle spalle di tutti noi.
Quello che serve non è una solidarietà caritatevole, ma una solidarietà liberatrice che mette in discussione lo stato di cose e si interroga sul perché di tali condizioni provando a dare delle risposte che siano capaci di produrre un cambiamento”.