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Stefano Vitali: un’intervista sociale

In foto: Stefano Vitali
Stefano Vitali
di Redazione   
Tempo di lettura 6 min
Ven 14 Nov 2014 13:08 ~ ultimo agg. 18 Mag 15:14
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In questo momento considero la mia esperienza politica un capitolo chiuso, non perché non mi interessi ma perché non ho trovato un progetto valido da portare avanti. In futuro si vedrà…Il mio percorso politico è sempre stato fatto di occasioni, mai cercate. Non voglio “mangiare” con la politica, ma solo spendermi per dei progetti che ritengo interessanti per il bene comune”.

Comincia così la nostra chiacchierata con Stefano Vitali: per quindici anni amministratore della cosa pubblica prima come Assessore ai servizi sociali del Comune di Rimini e poi come Presidente della Provincia e oggi tornato ad impegnarsi direttamente nella “sua” comunità, la Papa Giovanni XXIII.

In particolare il suo impegno è dedicato alla ONG “Condivisione fra i popoli”.

È reduce da un due viaggi di ricognizione in Africa: in Tanzania, Zambia e Burundi, presto partirà per il Bangladesh e il Nepal, poi sarà la volta dell’America Latina.

Un bel cambiamento di vita, affrontato con molta serenità ed entusiasmo, che ci facciamo raccontare proprio da lui.

 

 

Di cosa si occupa nello specifico all’interno della Comunità Papa Giovanni “Condivisione fra i popoli”?

Condivisione è una ONG che segue tutti i progetti che non riguardano le case-famiglia (altra colonna portante della comunità) e in particolare tutte le realtà nate dall’iniziativa dei missionari della Comunità Papa Giovanni XXIII, responsabile di Condivisione è Elisabetta Garuti. Seguiamo i progetti anche da un punto di vista gestionale ed economico cercando di mantenere vivi i contatti con tutte le zone di missione. Non solo: il nostro è anche un lavoro culturale, legato alla rimozione delle cause vere della povertà e sfruttamento e volto a riequilibrare l’opinione pubblica, facendo conoscere direttamente queste realtà. Don Oreste Benzi diceva che non basta mettere la nostra spalla sotto la Croce del fratello, ma dobbiamo contribuire anche a fare in modo che chi ha messo quelle croci non lo possa più fare. Se ci sono 1.300.000 persone in Libia pronte a partire per l’Europa, noi dobbiamo far capire qual è la realtà da cui sfuggono e quali sono le necessità e i problemi veri su cui è necessario intervenire per evitare questi viaggi della disperazione.

 

Qual è la realtà che ha incontrato nei suoi primi viaggi in Africa?

Il lavoro dei missionari in Africa parte da una lettura attenta dei bisogni e cerca di offrire strumenti di autosostentamento ma soprattutto di emancipazione, attraverso innanzitutto l’istruzione.

In una casa a Ndola, in Zambia, una ragazza ha potuto laurearsi in Medicina grazie al nostro sostegno. È stato un risultato bellissimo, ed è stato possibile perché abbiamo creduto in un sogno che sembrava irrealizzabile! In Tanzania per me è stato molto utile visitare con i missionari anche i centri nutrizionali che si trovano nelle periferie, nei luoghi più poveri.

Un altro aspetto importante riguarda l’autonomia lavorativa: sempre in Zambia grazie alla Fondazione Gigi Tadei (il figlio, scomparso, dell’imprenditore riminese Vittorio Tadei) è stato possibile avviare ben cinque gelaterie per dare lavoro a ragazzi che provenivano dalla strada. È incredibile pensare come da una miseria assoluta siano potuti sbocciare questi fiori bellissimi: ragazzi che non avevano nulla oggi hanno ritrovato la loro dignità attraverso un lavoro di tutto rispetto.

 

E in Tanzania e in Burundi?

La realtà della Tanzania e del Burundi è, se possibile, ancora più povera di quella dello Zambia. Eppure anche in questo paese crescono germogli di speranza. Mi ha emozionato la visita a un Centro giovani del Tanzania, proprio all’interno di un compound, che cerca di offrire speranza attraverso la danza, lo sport, l’arte…a giovani di strada e ragazze madri. In Burundi mi ha toccato il cuore la testimonianza dei nostri missionari, in particolare una suora che mi ha detto: “Noi abbiamo scelto di accogliere non solo i poveri (qua lo sono tutti) ma i disperati…gli ultimi tra gli ultimi”. Per questo lavoro straordinario che viene svolto credo che sia molto importante non far sentire soli i missionari, ed è questo anche il senso delle mie visite alle missioni. C’è un’umanità da coltivare, relazioni da tessere, una realtà da conoscere.

 

Come vive questo cambiamento deciso di vita dall’impegno politico all’impegno nel sociale?

Sentivo il bisogno forte di tornare a sentire l’odore dei poveri. È in questo modo che ho spiegato anche alla mia famiglia il mio cambiamento di vita, che hanno subito accolto e sostenuto anche se non era facile né scontato. Il mio impegno politico è sempre stato rivolto anche ai più poveri, ma in questo momento sentivo forte l’esigenza di tornare a calarmi in progetti concreti, di mettere la mia esperienza e la mia voglia di fare a servizio di chi è più solo ed emarginato direttamente, senza la mediazione della politica attiva.

 

Quali sono i progetti futuri di Condivisione fra i popoli?

Innanzitutto un forte investimento sulla comunicazione. Stiamo aggiornando il sito (www.condivisionefraipopoli.org) dove racconteremo nel dettaglio tutti i progetti di solidarietà e cooperazione che realizziamo nel mondo. Utilizzeremo ogni strumento: foto, video, l’invio di una newsletter, i social network (io ad esempio utilizzo il mio profilo Facebook come un vero e proprio diario di viaggio) …perché sono convinto che oggi questo sforzo di trasparenza e condivisione sia la carta vincente. Per esempio abbiamo scelto di mettere un numero chiuso alle adozioni a distanza perché ci teniamo a certificarle, a rendicontare quanto viene fatto storia per storia. Un altro aspetto importante del nostro lavoro riguarda la possibilità di instaurare rapporti di collaborazione veri a livello diocesano con altre realtà impegnate nei paesi in cui Condivisione opera. E poi c’è il lavoro a Ginevra, dove siamo accreditati in maniera permanente alle Nazioni Unite e dove lavora la riminese Mara Rossi: qui possiamo in qualche in modo incidere anche sulle decisioni politiche internazionali e portare la voce dei più poveri. Insomma, il lavoro da fare è tanto, ma parafrasando Don Oreste: chi siamo noi per pensare di poter gestire o mettere un limite allo Spirito Santo?

Silvia Sanchini

Per maggiori info:

www.apg23.org

www.condivisionefraipopoli.org

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