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Baby gang e bullismo: non sono solo fenomeni individuali

di Redazione   
Tempo di lettura 3 min
Gio 16 Gen 2014 17:29 ~ ultimo agg. 17 Mag 01:17
Tempo di lettura 3 min

È notizia di qualche giorno fa, l’ennesimo episodio di bullismo nella nostra Provincia che ha visto coinvolte un gruppo di ragazzine che hanno aggredito in discoteca una loro coetanea dopo avere programmato tutto attraverso Facebook (qui la notizia su newsrimini.it). In Italia le statistiche ci dicono che 1 ragazzo su 5 è stato vittima di bullismo, soprattutto tra le pareti scolastiche (nel 51% dei casi) e 1 ragazzo su 2 dichiara di aver assistito a episodi di bullismo (questi dati sono il risultato di un’indagine su 5.000 adolescenti italiani condotta nell’ambito del progetto europeo E-Abc – Antibullying Campaign). In questo quadro anche il fenomeno del bullismo al femminile sembra essere preoccupantemente in crescita, pur presentandosi in maniera diversa dal bullismo maschile. Si tratta infatti spesso di episodi più nascosti, difficili da riconoscere almeno fino a quando non esplodono in aggressività e violenze come nella notizia riminese.

Davanti a fenomeni di questo tipo è facile lanciare accuse: contro la scuola, le famiglie, gli stessi ragazzi, internet. Accuse che non fanno altre che alimentare un clima di tensione e paura. Il problema è ben più profondo e va a toccare le radici del pensiero e della cultura che come mondo adulto rischiamo di trasmettere ai più giovani. Come stupirsi, infatti, di questi episodi di violenza tra i più giovani quando assistiamo quotidianamente anche nella politica – che dovrebbe essere per eccellenza il luogo deputato alla costruzione del bene comune – ad atteggiamenti aggressivi, prevaricatori e arroganti? O quando, accendendo la televisione, troviamo un modo di fare comunicazione e intrattenimento spesso solo urlato e invadente? Un palcoscenico pubblico nel quale dove – come scrive il sociologo Zygmunt Bauman – se non appari, non esisti. Ancora più terribile poi se pensiamo ai modelli femminili predominanti.

Il profilo di vittime e bulli è molto più simile di quanto si possa pensare. Entrambi vivono una condizione di fragilità che chi compie atti di bullismo riesce più spesso però a mascherare facendosi forza nel gruppo. Ma anche un atto di bullismo è espressione di malessere e disagio, di profonda insicurezza.
Altrettanto preoccupante è poi il ruolo di chi assiste a questi episodi e rimane in silenzio, divenendone in qualche modo complice o vittima egli stesso di un clima di intimidazioni e paura.
Per questo più che di colpe e accuse, si dovrebbe parlare di responsabilità.

Quel che ci deve infatti preoccupare di più è il fatto che nella maggioranza dei casi chi subisce atti di bullismo o chi vi assiste non senta di potersi avvalere dell’ascolto o dell’aiuto di un adulto.
Se la cooperazione tra adulti, tra genitori e insegnanti o tra insegnanti e educatori, viene a mancare, forse diviene ancora più difficile per i più giovani riporre fiducia negli adulti e trovare in loro rifugio e sicurezza.
Per questo il problema del bullismo non è solo un fenomeno individuale, non è solo un problema delle scuole o delle famiglie, ma ci riguarda tutti come cittadini e come adulti.

Silvia Sanchini

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