Crac Giacomelli: cinque arresti e un quadro sconcertante. Latitante la Spada


Ma per la Giacomelli i guai sembrano non aver fine, anche perché gli arresti di oggi hanno aperto il coperchio su una situazione a dir poco inquietante.
Un quadro che, purtroppo, ricorda da vicino quello di altri casi di fallimenti eccellenti e che rischia di peggiorare la già grave situazione di chi è in attesa di risarcimenti.
All’alba di oggi la Guardia di Finanza di Bologna ha arrestato il riminese Emanuele Giacomelli, di 41 anni, Antonio Giacomelli, di 64 anni, Vittorio Fracassi, Stefano Pozzobon e Domenico Libri, amministratori e consulenti del gruppo. Il pesce più grosso, Gabriella Spada, moglie di Emanuele e leader del gruppo Giacomelli, è invece latitante nelle acque delle Maldive. Le accuse vanno dall’associazione a delinquere alla bancarotta fraudolenta, calunnia, truffa, emissione di fatture per operazioni inesistenti e false comunicazioni sociali. Oltre che di mala gestione, i coniugi Giacomelli-Spada sono accusati di avere sottratto indebitamente dalle casse societarie enormi cifre di denaro. Alcuni dipendenti, inoltre, sarebbero stati obbligati ad acquistare azioni del gruppo, azioni che oggi non valgono quasi nulla.
L’operazione, condotta dalla Guardia di Finanza sotto il controllo delle procure di Bologna e Rimini, è il frutto di due anni di indagini, con intercettazioni di telefonate per 3mila ore. Le indagini rimangono aperte e complesse: il Gruppo Giacomelli era composto da 20 società italiane ed estere, molte soltanto di facciata, e quindi si dovrà ricorrere a rogatorie internazionali.
Un’azienda che già dal ’97 era in forte crisi, ma invece di salvare il salvabile ha dato vita a uno sconcertante meccanismo di falsi e frodi che ha messo nei guai fornitori e investitori. Nel 2002 la Giacomelli, quotata in Borsa e con un fatturato di 312 milioni di euro e 3.000 addetti, contava 172 punti vendita in Italia e in 9 paesi europei.
Ma era un impero costruito sul nulla, anzi, su false fatturazioni che mostravano una redditività inesistente, costruita su un giro di fatture false. La Giacomelli vendeva articoli a basso costo, con ricavi e bilanci gonfiati per ingannare le banche ed ottenere crediti. Trucco che ha tratto in inganno anche la Consob, che ha dato il via libera alla quotazione in Borsa.
Anche l’acquisizione di altre società come la Longoni serviva solo da specchietto per le allodole per dare un’immagine florida di una società che ha rimediato debiti per circa 500 milioni di euro, a fronte di attività dal valore di meno di 100 milioni.
A dare una svolta alle indagini, l’anno scorso, il furto di assegni destinati ai creditori che si è rivelato una messa in scena per prendere tempo.
Ma non era l’ultima spiaggia: gli amministratori, perso il controllo della società ma forse anche il senso della realtà, si erano rivolti a una presunta operatrice dell’occulto per cercare una soluzione a una crisi senza via d’uscita.