Gli anni delle conquiste sociali, 20 maggio 1970: lo statuto dei lavoratori


L’EDITORIALE DELLA DOMENICA
Il 20 maggio del 1970 è stata promulgata la legge n° 300, successivamente denominata Statuto dei Lavoratori. E’ una pietra miliare del diritto del lavoro. Anni di contestazioni studentesche, di lunghe lotte sindacali, di scioperi, di battaglie politiche, di aspri contrasti tra imprenditori e lavoratori. Anni storici, distinti per impegno e partecipazione, per alcuni troppo politicizzati, ma oggettivamente, sono stati ottenuti risultati di fondamentale importanza civile e sociale, non solo per il mondo del lavoro. Quegli anni, appaiono lontani e totalmente avulsi dalla società attuale, ove generalmente, riscuote più interesse uno “spritz” o un’effimera vittoria sportiva, non di rado, assai evidenziata anche da alcune Istituzioni, ma forse, avremmo più bisogno di enfatizzare la positività di coloro che dedicano svariati decenni della loro vita ad un semplice lavoro. Sarebbe molto educativo per le giovani generazioni e riporterebbe a riflettere sui valori reali, surclassndo l’effimero.
Lo Statuto dei lavoratori è una legge di assoluta civiltà, oltre quaranta articoli, dedicati alla libertà di opinione, al diritto di associazione e attività sindacale, alle tutele sugli atti discriminatori, alle garanzie di reintegra e tanto altro. In questi decenni, sono stati perpetrati molteplici tentativi di ridurne l’efficacia, a volte, persino da alcune parti politiche che ne avevano ampiamente supportato la promulgazione, con la convinzione che contraendo le garanzie e la libertà, si possa aumentare la competitività. Di certo, l’imprenditore ha il diritto ed il dovere di tutelarsi dai comportamenti non consoni dei lavoratori e non solo nel settore privato, ma i lavoratori, hanno il diritto ed il dovere di tutelare la loro prestazione e la dignità del bene più prezioso che dedicano al lavoro, oltre all’impegno, il tempo della loro vita.
Negli ultimi decenni, tutto questo è stato presumibilmente dimenticato. Per rendere competitivo il lavoro, spesso si è precarizzato e non di rado, si è abbassato esponenzialmente il valore dello stesso, ergo, il salario. Attribuire ciò che è accaduto solamente a coloro che lo hanno proposto non è corretto, perché purtroppo, qualche altro lo ha accettato e solo oggi, con il senno del poi, si vorrebbero modificare i contratti, ma ora, tutto appare assai più complesso, perché lo Stato è significativamente indebitato e difficilmente potrà ridurre in modo consistente la tassazione sul lavoro (salvo congrui ed auspicabili tagli di spese non indispensabili), mentre le imprese, se aumentassero esponenzialmente i salari, come sarebbe necessario, difficilmente potrebbero rimanere competitive sui mercati ed in tanti casi, rischierebbero la stessa sopravvivenza. In ultima analisi, ciò che negli ultimi anni è stato proposto ed accettato, appare oggi un danno immane, che ha reso il lavoro meno dignitoso e meno accattivante per le nuove generazioni, che in troppi casi, fuggono all’estero. Devastante anche per i consumi interni, che non possono decollare se i salari permangono mediamente scarsi, compromettendo di conseguenza lo sviluppo, che incide ovviamente anche sui conti dello Stato. Un coacervo di stupidità, il cui conto è pagato soprattutto dai lavoratori. Rimane l’auspicio, o forse l’illusione, che le nuove generazioni possano riacquisire l’enfasi sociale di coloro che ci hanno preceduto, grazie ai quali si è conquistata la legge n° 300 del 20 maggio 1970, emblema di lungimiranza, saggezza e civiltà. Carlo Alberto Pari