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Lo Sport dei piccoli: la riflessione di un genitore sullo sport giovanile nel passaggio all'adolescenza

In foto: Foto di archivio (SportSmall.it)
Foto di archivio (SportSmall.it)
di Icaro Sport   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
mar 10 lug 2018 22:26 ~ ultimo agg. 22:27
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Ricevuto, pubblichiamo la riflessione di un genitore sullo sport giovanile, nel passaggio all’adolescenza.

LO SPORT DEI PICCOLI
Racconto una storia simile a moltissime altre: l’argomento è lo sport giovanile, nel passaggio all’adolescenza. Dopo due o tre anni bellissimi, sul più bello, tre quarti abbondanti della squadra dei miei figli smette di giocare. La spiegazione di noi genitori è che c’è troppa pressione; quella degli allenatori è che i ragazzi “devono” tirar fuori gli attributi. Non è una cosa nuova e chi sta nello sport lo sa bene: a 15 anni circa i ragazzini spesso, spessissimo, mollano. Si può fare qualcosa? “Devono” tirar fuori gli attributi. Ma polisportive, allenatori, genitori, amici, nonni… qualcuno può dare un contributo di qualche genere? No, perché “devono” farlo loro. La discussione finisce prima di cominciare.

Come funziona? I ragazzi crescono e – giustamente – gli allenatori pretendono di più, di più, di più. Sono le regole dell’agonismo, si dice, e i ragazzi si “devono” adeguare. Solo che troppo spesso diventa un inferno di stress, pressione, rabbia repressa, rimbrotti e i ragazzi mica hanno voglia – tre ore al giorno cinque o sei giorni a settimana! – e mollano. Noi genitori – almeno io – li dobbiamo mandare a scuola, far studiare, tener lontani da cattive frequentazioni, dar loro degli orari eccetera. Dobbiamo anche forzarli a fare sport? Quando hanno un’età e
cominciano a esserci anche altri impegni se decidono di mollare, mollano.

Con gli allenatori non c’è margine di trattativa: i ragazzi “devono”, sennò – espresso con parole più o meno gentili – a noi non servono. Se sali di un piano e ti rivolgi ai dirigenti c’è un senso esperto di impotenza: le cose stanno così, gli allenatori non possono fare di più, ci mettono impegno, dedizione eccetera eccetera e se i ragazzi non reggono è un peccato ma… Insomma non c’è niente da fare. Non ci sono valori che si possono mettere in campo, non si può dialogare, mediare: non si può fare altro che fallire. Lo sport sembra sia solo per i piccoli e per pochi superstiti.

Ma davvero va bene così? In pratica, il pallino viene lasciato totalmente in mano ai ragazzi e alla loro voglia insicura. Sì, è un modo di far selezione, ma è una selezione talmente ampia che qualche dubbio lo fa venire. Qui a Riccione, ad esempio, nonostante i migliori impianti d’Europa, in alcuni sport sembra ci sia una tagliola a cui non sopravvivono gli over 15: fino a un certo punto si arriva a livelli regionali e anche più, poi ogni due tre anni si azzera tutto e – giocoforza – ci si accontenta della mediocrità. Gli allenatori, interpellati, mettono in evidenza i grandi numeri in entrata (i nuovi iscritti) e glissano sui crescenti numeri in uscita. Nonostante impianti all’avanguardia (e probabilmente anche molto costosi), passata una certa soglia, risultati zero. È davvero il massimo che possiamo fare?

I dirigenti e la città devono accontentarsi per forza? Davvero non si può fare di più? Noi genitori (inesperti, per carità) meritiamo davvero di essere aggrediti ogni volta che poniamo il problema? Sì, perché un altro refrain è che i genitori non ci devono mettere il becco (ed è vero, a tutti va lasciato spazio per metter in pratica il proprio impegno), ma lo zero di relazioni tra allenatori e genitori in realtà è lo specchio di una incapacità di rapportarsi anche con i ragazzi: possibile che quando un figlio gioca bene tutta la famiglia sia benedetta e quando gioca male non ci sia tempo nemmeno per un saluto o un chiarimento? Non sono lì per crescere, per migliorare? Oltre alle competenze tecniche, cosa si mette in campo?

È proprio sulle relazioni che il tema diventa drammatico: anche il solo mettere a tema un problema viene sentito come un attacco all’onorabilità e alle competenze dei tecnici che, in difesa del proprio impegno, mettono in campo una aggressività che si diffonde rapida come il fuoco sulla benzina. Ripicche, minacce, piccole faide, calunnie, intimidazioni: lo sport italiano sembra destinato a morire da piccolo, in periferie in cui nessuno è capace di mettere in gioco valori positivi, in cui le aspirazioni inadeguate di chi è alla guida rendono piccole anche le persone: il grande potenziale dei nostri ragazzi viene disinnescato prima che possa esprimersi.

Forse perché si spera nel campione con una tale ansia da prestazione che non si riesce a dare il tempo di crescere a nessuno, forse si buttano in campo frustrazioni adulte da cui i giovani stanno volentieri alla larga, forse si lavora semplicemente male, senza considerare le persone – grandi e piccole – nella loro interezza e ci si accontenta di contare i partecipanti senza curarsi di chi siano. E si perde, entusiasmo e persone, mica solo le partite…

È una pentola in cui non sta bollendo niente, suona a vuoto e i nostri ragazzi se ne vanno – giustamente – altrove.

Sì, lo racconto da un punto di vista parziale – quello della Pallanuoto a Riccione, un ambiente capace di essere splendido per tantissime cose, ma che da troppi anni non riesce a crescere né a esprimere appieno il proprio potenziale – ma forse è un problema importante perché, nonostante qualche disponibilità, davvero sembra impossibile trovare un aggancio, una base su cui provare a cambiare, a crescere. Il tempo passa e si perde, si perde, si perde. L’ho già detto, non parlo solo delle partite: parlo dell’entusiasmo dei ragazzi, del valore dello sport agganciato alla loro esperienza, della bellezza di mettersi in gioco e di crescere all’interno di un gruppo, di una squadra. Gandhi diceva che “prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci”. Spero di passare alla fase in cui ci prendono in giro, perché continuare a ignorare il problema, dopo un po’, diventa un atteggiamento colpevole. I nostri ragazzi meritano di più, meritano una possibilità, meritano di essere guardati in faccia e di trovare – insieme agli adulti – la forza per esprimere il proprio potenziale. Ma non lo meritano solo loro, lo merita anche chi ogni giorno mette in gioco risorse e impegno per la riuscita dello sport, locale e nazionale.

Daniele Mingucci”