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Persone non nomadi

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 5 minuti
gio 8 set 2016 07:23 ~ ultimo agg. 13 set 08:59
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È  successo un putiferio. Non saremo razzisti, ma basta solo nominare la parola “zingari” che gli occhi si fanno di fuoco, il volto paonazzo e la lingua si scioglie ribelle ad ogni logica e bon-ton. Lo sapeva Gloria Lisi, vicesindaco e assessore al Sociale presentando domanda di finanziamento alla Regione  e non ha cambiato parere.
“Le polemiche non ci fanno cambiare idea. La volontà politica dell’amministrazione è andare alla chiusura del campo di via Islanda. L’idea e anche solo il termine di campo non possiamo più tollerarlo, e per rispetto della dignità di ogni persona. C’è poi un compito che dobbiamo espletare come amministratori. Non siamo chiamati ad applicare solo leggi che ci piacciono. Ci sono responsabilità che dobbiamo portare avanti a prescindere dalle nostre posizioni. E fra queste quella di adeguarci ad una legge regionale che riprende normative dell’Unione europea. Comunque al di là delle normative c’è una questione di giustizia. Dare ad ogni singola famiglia la responsabilità di una microarea, è anche dargli dignità, e questo rende più facile il processo di integrazione”

Tutti pensano agli zingari come fossero nomadi…
“In realtà sono cittadini che abitano sul territorio. Se vai in via Islanda a verificare il luogo di nascita ti accorgi che, a parte i minori che sono tutti nati qui, anche gli adulti sono residenti a Rimini da almeno venti o trenta anni”.

Il vostro progetto riguarda i sinti o i rom? La legge regionale non fa distinzioni.
“Certo non si discrimina nessuno di coloro che sono a Rimini, vanno dunque comprese anche quelle famiglie rom che sono in difficoltà”.

Abbiamo assistito ad un dibattito assai acceso, ma non si è parlato dei contenuti del progetto.
“È vero, si è parlato di tutto: zingari, delinquenza, campi, legalità, ma non del progetto. Intendiamoci, la cosa è comprensibile. È frutto del retaggio culturale che abbiamo tutti. Solo la conoscenza diretta diminuisce le difficoltà. Molte delle cose dette nascono proprio dalla mancanza di conoscenza delle famiglie, della complessità del fenomeno. Dietro ci portiamo pregiudizi enormi… Questo va combattuto. Non si può etichettare la gente che non si conosce e soprattutto una etnia intera. Questa è razzismo. Quando si parla di persone occorre essere molto seri”.

Cosa si intende per micro-aree?
“Il campo è deresponsabilizzante. Non sai mai chi ha fatto questo o quello. Qui la criminalità e l’illegalità trovano spazio. Nelle micro-aree no. Sono insediamenti con un nucleo familiare, dove c’è un capofamiglia responsabile, che deve essere riconosciuto e riconoscibile”.

Ma avete previsto solo 3 aree e non 11 come sono le famiglie sinte presenti oggi in via Islanda, più 4-5 famiglie rom in difficoltà. Come non temere che le microaree diventino allora nuovi campi?
“Bisogna dire che molti sinti e rom hanno comprato delle aree, sulle quali però ancora oggi non possono insediarsi, perché sono terreni agricoli, dove non è possibile collocare fabbricati. Ora la legge regionale pianifica che, solo per rom e sinti, minoranze tutelate dalla legislazione europea, io possa porre la microarea anche in zona agricola. Naturalmente nessuna muratura, massimo 15 componenti, tot metri quadri a persona… L’importante è che ogni scelta passi attraverso il Consiglio comunale.”

Ma la delibera di giunta…
“In realtà quella delibera di giunta così fortemente contestata diceva solo: io partecipo ad un bando regionale che mette a disposizione delle risorse. Per partecipare al bando dovevamo presentare in fretta un progetto (ci eravamo appena insediati a inizio luglio), e lì noi abbiamo indicato tre possibili micro-aree pubbliche. Ma quando presenterò il progetto al Consiglio comunale, potrò comprendere anche le aree di privati, sinti o rom, già proprietari di terreni, e dar loro la possibilità che quelle micro-aree di loro proprietà possano entrare nel progetto. Ma sarà il Consiglio comunale a fissare le regole e le responsabilità cui tutti, sia su terreno privato che pubblico, dovranno attenersi, pena la caduta del permesso di micro-area. Ora, che il Consiglio comunale scelga per 11-15 famiglie invece che solo per 3, certo questa è la scelta che auspico, ma tocca al Consiglio comunale”.

L’intervista continua sul Ponte

 

Il progetto comunale delle Micro-aree abitative

La Regione Emilia Romagna con l’approvazione della Legge Regionale 11 del 2015 “Norme per l’inclusione sociale di rom e sinti” stabilisce che i Comuni favoriscano processi di autonomia, emancipazione e integrazione sociale delle popolazioni zingare. E questo lo ha fatto anche per adeguarsi alla normativa europea, che tutela le minoranze. Ora la Giunta regionale ha approvato, come strumento di indirizzo e programmazione, la delibera relativa alla “Strategia regionale per l’inclusione di Rom e Sinti”.
Obiettivo primario sarà quello di sostenere processi di autonomia, emancipazione e integrazione sociale. La strategia si articola in quattro assi: abitare, istruzione e formazione, lavoro e salute.

Il primo, l’abitare, si basa sul concetto di microarea, ovvero zona in cui i soggetti abiteranno.
Quali i requisiti?
– può essere sia pubblica che privata;
– composta da roulotte, camper o case mobili ma non da edifici in muratura;
– il numero massimo di componenti familiari previsto è 15 e le aree non possono trovarsi adiacenti;
– La dimensione massima della struttura di 15 mq a persona.

Il bando deliberato dalla Giunta Regionale (242/2016) prevede il <+nero>finanziamento (all’80 % del costo complessivo) di interventi per superare le aree di sosta pubbliche, zone in cui sono presenti problemi di grave degrado, insicurezza, precarietà e tensione sociale. Risulta dunque essere una opportunità per il superamento dell’insediamento di via Islanda, campo non autorizzato.

Un censimento della popolazione di questo campo ha individuato 20 gruppi familiari suddivisi in 11 sinti e 9 rumeni (non rom, dunque non compresi nella legge regionale) per un totale di 77 persone. Di queste, 61 sono residenti nel Comune di Rimini, 3 in altri Comuni e 13 sono prive di residenza anagrafica. I minori risultano essere numerosi, sono infatti 23, mentre gli anziani sono 5; 10 persone hanno problemi di salute, 2 i disabili ed uno solo è un ex detenuto.
Oltre alle persone presenti nel Campo di Via Islanda, sul territorio comunale si stimano in 5 unità i nuclei familiari di etnia rom che, pur non vivendo nel campo, si trovano in situazioni gravemente compromesse da un punto di vista abitativo.

Gli interventi previsti per la chiusura dell’area di via Islanda sono:
– Assegnazione di alloggio di Emergenza Abitativa – Area sociale nel caso di utenti residenti in carico ai servizi sociali. Solo 4/5 gruppi familiare potrebbero accedervi.
– Tutti i nuclei familiari residenti saranno comunque invitati a fare domanda di alloggio  Edilizia Residenziale Pubblica.
– Erogazione contributo economico fino ad un massimo di 4.000 euro a nucleo familiare per il reperimento di una nuova soluzione abitativa.

L’amministrazione ha individuato 3 microaree pubbliche che saranno assegnate mediante procedura ad evidenza pubblica, con graduatoria.

Durante tutto il processo i servizi sociali incaricati effettueranno azioni di sostegno e accompagnamento sociale, sanitario, abitativo, lavorativo ed educativo con accesso a percorsi di inserimento lavorativo/interventi formativi in collaborazione con il Centro per l’Impiego.

 

UNA GIORNATA NEL CAMPO DI VIA ISLANDA

campo-rom-nomadi via islanda riminiCi sono bambini che giocano sull’asfalto tra i cavi elettrici e gli adulti che fanno scudo ai vani tecnici per evitare che vi si avvicinino mentre giocano. Ci sono malati, anche gravi, che dormono di fianco a fogne a cielo aperto. Intere famiglie senza servizi igienici che espletano i loro bisogni corporali lungo il parco Marecchia e che si lavano in grandi recipienti riscaldando l’acqua con dei resistori elettrici. Scene di vita quotidiana al campo rom di Via Islanda; un appezzamento di terra che, nonostante venga chiamato “campo”, ha poco di bucolico, in cui una dozzina di roulotte vetuste e malandate sono state gettate in maniera disordinata come pedine della dama su una spianata di asfalto.
La giornata in cui vi faccio visita è una di quelle estive più calde con il sole che trasforma ciascuna dimora in una serra. L’arsura che sale da quella gettata di bitume è insopportabile. “Hai bisogno?”, mi chiedono i suoi abitanti appena arrivo, incuriositi dall’ospite inatteso. “Come fai a stare qua con questa puzza?”, aggiungono subito dopo le presentazioni. Tra una baracca e l’altra corrono sopra il suolo una serie di tubi di plastica che portano le acque sporche verso dei tombini sigillati alla bell’e meglio. Come serpenti impregnati di lerciume, invadono tutta l’aria costringendo la gente a fare attenzione a non inciamparci ogni volta. E nell’aria è diffuso un odore acre, fastidioso, con una nota dolciastra, a cui non è possibile abituarcisi. “È insopportabile vivere così”, dice un 40enne col diploma di saldatore.

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