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Amerigo Soldati, il sarto di Don Oreste, compie 100 anni

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
gio 26 lug 2018 11:24
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Nell’ascoltare la sua storia, il racconto del figlio e delle nipoti, la sensazione è di avere a che fare con il personaggio di un romanzo. Quegli eroi di una volta che riescono a uscire da ogni situazione, anche la più difficile. E gli ingredienti del romanzo classico ci sono tutti, avventura, amore, guerra, vita e morte, sofferenza e passione. Sullo sfondo lui, che attraversa un secolo con la leggerezza dell’artista e la concretezza del romagnolo. Nella vita e in sartoria. Anche il nome è da personaggio, un po’ felliniano: Amerigo Soldati.

Amerigo Soldati, classe 1918, il sarto che il 28 luglio 2018 compie cent’anni. 

“…Mi piacerebbe arrivare alle tre cifre!” ai nipoti e familiari riuniti per il suo compleanno un anno fa. E sabato 28 luglio Amerigo festeggerà i 100 anni con amici e parenti, alle 18,30 alla parrocchia del Crocifisso di Rimini.

Certo, il carattere non gli manca. E neppure la volontà di raggiungere gli obiettivi. Lo descrivono come “una persona dinamica e metodica, incapace di stare con le mani in mano. Sempre animato dalla passione per quello che fa”.

Amerigo nella vita ha fatto e fa il sarto. E’ la costante. Poi soldato, marito, padre, nonno e anche bisnonno.

Nasce nel 1918 da Teresa e Pio a San Mauro Pascoli, una famiglia di contadini. A 13 anni viene mandato a bottega da un sarto a San Vito e li apprende i primi rudimenti di ago e filo.

Ha combattuto nella seconda guerra mondiale, tornando a piedi dalla Jugoslavia di Tito. “Ero nell’Egeo – racconta – dove sono rimasto per un anno e mezzo. Stavo male, avevo un’infezione, e rientrai con l’ultima nave italiana disponibile. L’imbarcazione precedente, una nave ospedale, fu affondata. Finii prima a Barletta poi a Savona, in ospedale. Una volta ristabilitomi, mi aspettava un corso da avvistatore aereo e la guerra in Croazia”. Viene inviato, come avvistatore aereo, nelle isole della Dalmazia dove lo coglie l’armistizio dell’ 8 Settembre 1943. Passando di notte da un’isola all’altra su barche di pescatori, arriva nei territori istriani, oltrepassa Trieste ma viene arrestato dai tedeschi e inviato in un campo di lavoro. Riesce a fuggire, e dopo tante traversie arriva a San Mauro e si nasconde vicino casa, in una buca in mezzo a un campo di granoturco. Una soffiata e c’è la galera, a Forlì.
I tedeschi lo prelevano e lo spediscono con una colonna di camion verso la Germania. A Verona, grazie ad un allarme aereo, riesce a eludere la sorveglianza delle guardie e a piedi si incammina sulla via di casa. “Nel gettarmi dal camion in colonna ho fatto rumore e una guardia mi ha notato. Senza pensarci troppo, mi sono calato i pantaloni fingendo di dover fare un bisognino. Lui ha girato lo sguardo ed è stata la mia salvezza”.

Una volta tornato a casa vive per parecchi mesi nascosto in una buca scavata in un campo di patate.

Già prima di partire per la guerra aveva conosciuto Maria e durante questi duri anni le aveva scritto alcune cartoline, una volta tornato a casa la invita ad uscire. Si sposano nel 1947. Si trasferiscono a Rimini e lui lavora per alcuni anni presso la  sartoria Continolo.

Nascono i due figli, Roberto e Patrizia.

Apre una propria sartoria nel centro di Rimini (prima in piazza Tre Martiri, poi in via Mentana e infine in piazza Ferrari) e si afferma come uno dei migliori sarti della zona, per molti anni.

Negli anni cinquanta ha tra i suoi clienti molti albergatori, grazie a loro la clientela si allarga anche ai turisti stranieri, che apprezzano la sartoria made in Italy. Assume alcuni lavoranti e insegna loro il mestiere che ama e a cui dedica passione e tempo. Con l’avanzare dell’età e l’avvento delle sartorie industriali chiude il suo atelier e continua a lavorare allestendo un piccolo laboratorio al piano terra della casa di famiglia. Ancora oggi cuce abiti da uomo per amici e parenti, senza farsi pagare.

Ha fatto gli abiti da sposo dei mariti delle nipoti, capace di adeguare le linee alla moda del momento: pantaloni stretti e a vita bassa e giacche più corte rispetto ad un tempo “…però non la faccio ancora più corta la giacca, sennò mi sembra una pagliacciata!”.

Ha confezionato tonache e vestiti per don Oreste Benzi, inseguendolo per tutta Rimini per riuscire a prendere le misure e fargli fare le prove necessarie.

Amerigo e Maria sono sempre stati il punto di riferimento per i figli e per i nipoti (Serena, Fabio, Sara, Riccardo e Laura). Nel 2006 a Maria viene diagnosticato l’Alzheimer. Inizia il calvario della malattia, sette anni accompagnata dalla cura e dalla tenerezza del suo unico amore, ancora tenace e combattivo dopo 70 anni: anche nei momenti in cui non è lucida l’unica voce che Maria riconosce e ascolta è quella di Amerigo.

Oggi, alla soglia dei cento anni, è impossibile vederlo con le mani in mano, quando lascia ago e filo si dedica a piccoli lavori con il legno, casette per le bambole per le nipoti, macchinine e portagioie traforati con cura.

Da sempre, prima con la moglie Maria e ora con la figlia Patrizia, si occupa dell’orto e rifornisce la grande famiglia di cetrioli, pomodori, melanzane e fagiolini… ovviamente l’orto deve essere vangato e anche quest’anno con una buona dose di cocciutaggine se ne è occupato di persona. Ma la sua predilezione va alle rose: in giardino ne ha una che ha piantato oltre 50 anni fa. I nipoti lo ricordano intento a raccogliere le foglie secche della magnolia davanti a casa e a innaffiare le rose e i cespugli di calle.

Degno di nota è il suo “parco macchine”: dalla 600 beige amaranto, alla 124, poi la 127 (regalata al figlio in occasione del matrimonio), la Ritmo e la Uno (prestata spesso ai nipoti). Ma soprattutto con il suo destriero, un MOTO GUZZI Galletto del ‘52, ha trasmesso la passione per le due ruote al figlio e ai nipoti.

Eccolo Amerigo, un uomo con la stoffa di altri tempi. Un pezzo di storia riminese, quella che sopravvive all’ amarcord e tiene in vita le radici di una cultura popolare e artigiana, perché non sia solo una rievocazione nostalgica del passato ma una finestra sul mondo che verrà.

Sara Soldati