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il ricordo di Meteoroby

Il nevone del 2012 e i tre metri in Valmarecchia

In foto: Immagine Newsrimini.it
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di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 3 minuti
mer 10 feb 2021 11:43 ~ ultimo agg. 19 set 10:37
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Molte persone, specie chi ha potuto farne esperienza diretta, rievocano quello che fu, perlomeno in Emilia-Romagna, l’eccezionale nevicata del febbraio 2012, classificandola come uno degli eventi climatici più rilevanti del ventunesimo secolo – scrive il tecnico meteorologo Ampro Roberto Nanni -. A tal proposito molto si è scritto e tanto si è documentato, ma il periodo che a maggior ragione rappresentò quella prima decade di febbraio, tanto da attribuirgli l’appellativo di “nevone”, fu l’ultimo dei più intensi di quattro episodi di maltempo che investì con caratteristiche di eccezionalità anche le pianure e le coste romagnole. Questo avvenimento interessò la bassa Romagna proprio tra il 10 e il 13 febbraio, arrivando a superare in Valmarecchia un valore complessivo di 3 metri di manto nevoso, tale da scomodare i grandi inverni del passato: del 1985, 1956, 1933 e addirittura quello del 1929 citato da Fellini in “Amarcord”.

Dalla sera del giorno 9, e protraendosi fino ai primi giorni della settimana successiva, le abbondanti precipitazioni conclusero l’ultimo dei capitoli più nevosi della storia, seppellendo letteralmente tutto l’entroterra romagnolo. Altra neve fresca si apprestò a scendere copiosa, con accumuli dai 40 ai 60 cm. distribuiti tra coste ed entroterra, fino a raggiungere i 125 centimetri di Novafeltria (RN), dove a fine evento sorprese il totale di ben 306 centimetri. Ma non solo, tutto il settore centro-orientale della regione fu sferzato da venti gelidi di Bora, con raffiche fino a 66 km/h tra Rimini e Coriano (RN) che accompagnarono delle vere e proprie tormente di neve, le quali, in seguito, contribuirono ad abbassare sensibilmente le temperature. Si registrarono valori come i -8°C di minima nella Repubblica sammarinese, ed una media oscillante tra 1°C e i -3°C nel riminese. L’effetto “blizzard” fu indubbiamente determinato dallo spessore della massa d’aria continentale proveniente dalla Siberia, continuamente alimentato dall’insistenza di un vortice depressionario presente sul nostro Paese, ma anche amplificato dall’albedo (copertura nevosa al suolo unitamente a giornate serene), che favorì un raffreddamento radiativo maggiore nelle aree di aperta campagna. Il valore più basso che si osservò nella pianura romagnola tra l’1 e il 15 febbraio, appartenne alla località di Granarolo Faentino con -17.9°C (stazione ARPA-SIMC) il giorno 15, cui seguì i -16.8°C registrati nel comune imolese (Sasso Morelli, stazione ARPA-SIMC) il giorno 14 febbraio. Dai -6 ai -9 gradi furono invece le temperature massime assolute più fredde, raggiunte il 6 febbraio, mentre 5 risultarono complessivamente i giorni di ghiaccio (o non disgelo).

Sebbene stiamo vivendo un’epoca in cui i cambiamenti climatici la fanno da “padrone”, con la diminuzione delle probabilità di avere episodi freddi più o meno lunghi, il nostro Paese, così come la nostra regione, (trascurando una pausa asciutta occorsa attorno agli anni ’90) manifesta dal 1967 ad oggi la tendenza ad un aumento della nevosità media, ascrivibile a bianchi episodi invernali perlopiù di breve durata ma talvolta anche rilevanti. A tal riguardo, le abbondanti nevicate, fortemente influenzate dall’orografia del luogo che, nella prima decade di febbraio del 2012, investirono particolarmente l’entroterra di Rimini e Forlì/Cesena, furono paragonabili se non in alcuni casi superiori come intensità (cioè in un minor lasso di tempo) a quelle di precedenti eventi storici. Se l’evento meteorologico di per se fu rilevante, lo stesso non si può dire per le temperature minime medie e assolute, che al contrario contraddistinsero significativamente le lunghe ondate di gelo dei suoi predecessori. Di fatto ciò di più eclatante fu la veloce fusione del manto nevoso, attribuibile alle alte temperature che si registrarono nei giorni successivi (temperature massime superiori a 20 gradi con valori maggiori di 10° C rispetto alla media stagionale). Questo repentino passaggio, da una situazione di rigido inverno a una “calda e precoce” primavera, fu un ulteriore evidenza dell’aumentata variabilità atmosferica sul nostro territorio e rappresentativa di un quadro climatologico globale sempre più estremizzato.

Roberto Nanni