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Immagina di essere in guerra

di Stefano Rossini   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
mar 16 giu 2015 12:32 ~ ultimo agg. 12:33
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Migranti: li vediamo arrivare, li vediamo accamparsi, li vediamo infreddoliti sotto una coperta. Li vediamo morti, li vediamo protestare, caricati dalla polizia. Li vediamo bighellonare senza fare niente, magari li vediamo anche rubare e fare a botte tra loro.
Li vediamo in continuazione, ma pensiamo ai nostri problemi.
Siamo umani, facciamo così. L’io prima di tutto. E di fronte ad ogni situazione, valutiamo bene quali sono i pro e i contro per noi.

Il nostro lavoro che manca, le risorse che sembrano sempre di meno, i bombardamenti di notizie che ci fanno sentire in pericolo. Ha un senso, è normale. Ma anche se la politica non fa il suo mestiere, e il flusso di migranti che viaggia da ormai due decenni per i cambiamenti geopolitici e di ecosistema del mondo continua ad essere un’emergenza, come fossero appena sbarcati per la prima volta da un mondo che fino a ieri funzionava alla perfezione, possono fare qualcosa gli scrittori.

E lo fa in modo mirabile Janne Teller, con un libricino piccolo, che sembra un passaporto, raccontato ai ragazzi di Mare di Libri, la scorsa settimana a Rimini.
Il libro fa un gioco molto interessante: Immagina di essere in guerra. Questo è il titolo, ed è anche il tema. Poche pagine – bellissime illustrazioni. Si legge in un quarto d’ora, e in questi pochi minuti racconta l’odissea dall’Italia di una famiglia che deve lasciare il paese a causa della guerra e delle lotte intestine. La storia è raccontata dal punto di vista di un ragazzo: i nonni sono morti, la casa è mezza distrutta e si sta tutti in cucina, il fratello si è arruolato nella milizia e la città è piena di cecchini. Il padre cerca per la famiglia un futuro migliore, e la famiglia cerca riparo in Egitto, ormai saturo di richiedenti asilo da tutta Europa.

Gli arabi non ne possono più di questi europei “pagani e viziosi”, che non fanno nulla tutto il giorno, si integrano poco e non si capisce quando andranno via.
Un esercizio tanto banale quanto difficile, ma che funziona e ci fa vedere per un attimo le cose da un punto di vista che coscientemente o involontariamente continuiamo ad ignorare, come se chi arrivasse qui lo facesse per un capriccio, per la voglia di rubarci le risorse, e vivesse di pigrizia perché così gli va.

Non voglio rovinare la lettura del libro, solo citare qualche passo che dà l’idea del racconto della Teller:

La vostra famiglia è diventata un numero. Cinque. Nessun paese è disposto ad accogliere altri cinque profughi. Non nessun paese vuole questi europei degenerati. Gente spregiudicata, capace solo di corrompere le tradizioni di chi vive nella vera fede.

 

La vita al campo ti consuma. Non c’è niente da fare. Neppure un corso di lingua: anche per quello c’è da aspettare il permesso di soggiorno. Non vai a scuola, non ti è permesso di lavorare […] e anche quando ottenete l’asilo, La vita è dura. Niente è più come prima. Non c’è lavoro, specialmente se sei straniero e non parli la lingua. Spesso la gente t’insulta per la strada, al mercato ti vendono prodotti di scarto, al bar chiunque ti passa davanti. Anche se hai i capelli neri e gli occhi scuri, la pelle bianca rivela le tue origini.

 

Ogni commento a queste parole è superfluo.