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colpo di scena in aula

A processo dopo 10 anni per rapina e sequestro, assolto per insufficienza di prove

In foto: L'ingresso dell'aula Falcone Borsellino
L'ingresso dell'aula Falcone Borsellino
di Lamberto Abbati   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
lun 19 giu 2023 14:19 ~ ultimo agg. 20 giu 08:45
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Era accusato di essere l’autore materiale di una violenta rapina, con tanto di sequestro di persona, avvenuta 10 anni fa, esattamente il 4 novembre del 2013 a Morciano, all’interno della sala slot Happy Days.

Un 52enne originario di Roma, attualmente in detenzione domiciliare dove sta scontando un cumulo di pena per altri reati, è stato assolto dal tribunale Collegiale di Rimini per insufficienza di prova. Rischiava una condanna a 10 anni e 6 mesi di reclusione così come richiesto dal pubblico ministero.

I carabinieri del Nucleo operativo di Riccione, a distanza di quasi 10 anni dal fatto, erano risaliti a lui grazie ad alcune tracce di Dna rilevate dai Ris di Parma su alcuni oggetti sequestrati e repertati all’epoca. Ma andiamo con ordine. All’una di notte del 4 novembre 2013, due uomini col volto travisato da passamontagna e guanti nelle mani fecero irruzione nella sala slot. All’interno vi era solo un dipendente che si stava accingendo a chiudere l’esercizio commerciale. L’uomo fu spintonato a terra dai due rapinatori, immobilizzato e minacciato: “Ti ammazziamo, dacci i soldi, dicci dove sono”. Mentre uno gli salì con le ginocchia sulla schiena tenendogli premuto il capo a terra, l’altro gli applicò del nastro da pacchi sulla bocca e delle fascette ai polsi. Dopodiché si impossessarono di una parte dell’incasso di serata, circa 7mila euro, e lo rinchiusero nel ripostiglio prima di far perdere le loro tracce.

I militari dell’Arma, intervenuti alcune ore dopo, sequestrarono fascette e nastro da pacchi inviandoli ai Ris di Parma affinché li sottoponessero alle analisi biologiche e dattiloscopiche. Dagli accertamenti biologici fu individuata la presenza di un profilo di Dna misto in cui compariva una medesima componente maggioritaria – all’epoca ignota – su due distinti reperti: le fascette e alcuni lembi di nastro adesivo. Fu anche individuata un’impronta sul rotolo di nastro adesivo marrone e un’altra su una fascetta. Solo di recente, però, il Ris ha segnalato la concordanza positiva del Dna ignoto con quello dell’imputato, le cui impronte erano finite nel frattempo nella banca dati Afis, in uso alle forze dell’ordine, a seguito del suo arresto per altra vicenda. Il complice invece non fu mai individuato.

Il pubblico ministero, chiedendone la condanna, aveva evidenziato come all’epoca dei fatti il 52enne romano fosse stato notato in più di un’occasione nella zona dell’obiettivo rapinato. A quel tempo, inoltre, era emerso che aveva anche abitato nel comune di Morciano. I suoi difensori – gli avvocati Vincenzo D’Agostino del foro di Viterbo e Marco Tarek Tailamun del foro di Rimini – hanno convinto i giudici che le prove a suo carico non fossero in realtà così schiaccianti. L’avvocato D’agostino ha presentato una corposa e dettagliata memoria difensiva con la quale ha contestato la ricostruzione scientifica dei Ris, mentre l’avvocato Tailamun si è concentrato sull’aspetto processuale sottolineando come al momento della rapina entrambi i malviventi indossassero i guanti. Per questo – secondo la tesi difensiva – le impronte dattiloscopiche dell’imputato, ritrovate su nastro adesivo e fascette insieme a quelle di altre persone mai identificate, dovevano essere per forza di cose antecedenti alla rapina. Debole a livello probatorio anche la traccia biologica individuata su alcuni lembi di scotch. Tutti aspetti che evidentemente hanno portato all’assoluzione dell’imputato per insufficienza di prove.